venerdì 30 aprile 2010

I ricercatori: «Stop alle lezioni»


[www.ilmanifesto.it] A Milano l'assemblea nazionale

di Roberto Ciccarelli

Dal prossimo ottobre rifiuteranno di tenere lezione e bloccheranno i corsi di laurea se nel disegno di legge Gelmini sull'università non cambieranno le norme che regoleranno la governance degli atenei, non saranno ritirati i tagli al fondo ordinario (Ffo) degli atenei e non saranno modificate quelle che ostacolano la carriera dei ricercatori e aggravano il precariato. Lo ha stabilito l'assemblea organizzata ieri alla Statale di Milano dai ricercatori universitari dei 72 atenei mobilitati contro il Ddl. «Se dovesse passare - afferma Alessandro Ferretti, fisico dell'università di Torino - rifiuteremo ogni incarico didattico non obbligatorio, limitandoci a tutoraggio e laboratori così come prevede la legge».

La scelta di rinunciare alla didattica ricorda quanto è successo in Francia un paio d'anni fa quando i maitre-à-conference sospesero per un anno intero la didattica e gli esami. L'impressione è che abbia aumentato la forza contrattuale del movimento che ieri si è dotato anche di un coordinamento nazionale. Se ne sono accorti a Roma dove due giorni fa si è tenuto al Miur un incontro interlocutorio tra i ricercatori e Alessandro Schiesaro, il responsabile della segreteria tecnica che sta curando la stesura della legge. La conclusione che i partecipanti ne hanno tratto è che i tagli imposti dal Ministro dell'Economia Tremonti sono definitivi e porteranno nel 2011 ad una decurtazione del 14,7 per cento del finanziamento degli atenei. Questa situazione porterà nel giro di pochi mesi l'intero sistema al collasso. Già oggi, infatti, il costo degli stipendi del personale è superiore ai fondi ministeriali.

L'università non è solo incapace di assumere nuovi ricercatori e di fare progredire la carriera di quelli strutturati, ma non potrà affrontare la gestione quotidiana al punto che molti atenei sono in bilancio provvisorio.

Nell'assemblea di ieri era diffusa la consapevolezza che l'Italia stia progettando la fine della propria università moderna. Contro questo scenario inquietante, ma realistico, i ricercatori propongono un contratto unico di ricerca garantito che abolisca il precariato garantendo le tutele giuridiche fondamentali ai più giovani; un ruolo unico della docenza, articolato su tre fasce, che permetta la progressione della carriera dei ricercatori a tempo indeterminato e la retribuzione di ogni impegno didattico ulteriore rispetto alla ricerca; un reclutamento straordinario previo rifinanziamento del sistema.

«Non siamo un movimento che si batte per la difesa dell'esistente e non chiediamo una sanatoria che faccia i ricercatori tutti associati - afferma Stefano Simonetta, membro del Cda della Statale di Milano e ricercatore in storia della filosofia medioevale - Puntiamo a fare emergere la contraddizione di un sistema che è sempre meno finanziato e si regge sul volontariato di migliaia di precari che non hanno voce e di altrettanti ricercatori che la Gelmini vuole mettere in esaurimento nel 2013».

I ricercatori mobilitati sono in media poco più che quarantenni entrati da poco in ruolo. Davanti a sé hanno ancora una trentina d'anni di carriera bloccata e la prospettiva di una pensione dimezzata rispetto all'ultimo stipendio. Da Ancona a Firenze, da Como-Varese a Bari, ciò che li unisce è la coscienza di essere finiti in un vicolo cieco. Una sensazione non molto diversa da quella che matura nel ceto medio italiano da quando è iniziata la crisi. Nei loro discorsi la precarizzazione delle aspettative professionali viene accompagnata sempre dalla certezza che un intero sistema è destinato al fallimento.

«La formazione che daremo agli studenti, e ai loro fratelli minori, sarà sempre peggiore - conclude Simonetta - Nei prossimi anni, dopo il pensionamento in massa degli ordinari, la faranno ricercatori sempre più anziani e demotivati insieme a precari sempre più precarizzati.». «Già oggi - ribadisce Pietro Graglia ricercatore a scienze politiche della Statale - copriamo il 40 per cento della didattica ufficiale, pur non essendo obbligati per legge a svolgere tale compito».

I numeri della protesta si allargano quotidianamente in particolare nelle facoltà scientifiche dove la maggioranza dei ricercatori ha già ritirato la propria disponibilità a tenere lezione. Lo stesso orientamento è stato confermato dai dati del sondaggio online diffuso in assemblea a primo mattino che ha raccolto le opinioni di 2363 docenti, ricercatori, precari e studenti in tutto il paese, 819 solo a Milano.

Tra i molti precari e studenti presenti all'assemblea, c'era Ilaria Agostini del coordinamento ricercatori precari di Firenze e Torino che ha auspicato un'alleanza tra ricercatori, precari e studenti per riformare l'università in maniera solidale. "Dobbiamo evitare una guerra tra poveri. Mi auguro che questa mobilitazione non resti prigioniera di rivendicazioni corporative". Un rischio paventato anche dai ricercatori a tempo indeterminato che preferirebbero allargare la mobilitazione al diritto allo studio e alla creazione di un sistema di welfare per studenti e precari. Questa possibilità di alleanza potrà essere verificata il prossimo 18 maggio quando le associazioni della docenza hanno convocato una giornata di mobilitazione negli atenei e il giorno successivo quando il movimento si è dato appuntamento ad un presidio davanti al Parlamento.

Ricercatori in lotta, l'assemblea nazionale a Milano


[www.infoaut.org]
Centinaia di ricercatori e ricercatrici di 32 atenei del nostro paese si sono ritrovati ieri in assemblea nazionale all'università di Milano sancendo un ulteriore passaggio dell'opposizione alla riforma Gelmini dell'università, sull'onda delle loro mobilitazioni degli ultimi mesi, agendo un'"indisponibilità" mancata durante le mobilitazioni dell'Onda ma che oggi può andare a costituire il volano per un'agitazione che viene, nelle università, per il mese di maggio... nella prospettiva di incamerare benzina per andare spediti verso il  prossimo autunno.

Il comunicato conclusivo, messo in rete quest'oggi, della riunione nazionale, alla quale hanno partecipato anche studenti docenti e lavoratori, che lancia la settimana di mobilitazione negli atenei che va dal 17 al 22 maggio.

Appello per un Primo Maggio dell'opposizione sociale


Appello congiunte delle realtà sociali autorganizzate di Torino per una partecipazione allo spezzone dell'opposizione sociale.

Di fronte ad una crisi che si fa sempre più profonda e aggressivanei confronti dei soggetti più deboli, le politiche del governo sicaratterizzano per le misure anti-popolari che tagliano il costo dellaforza-lavoro, attaccano il reddito e scaricano verso il basso i costisociali della stessa.

I partiti e i sindacati concertativi restano a guardare,senza attrezzare risposte efficaci, limitandosi ad "accompagnare"riforme del lavoro costruite a tavolino da Confindustria e poteri forti.

Come realtà dell'autorganizzazione socialeinvitiamo quindi i/le torinesi a vivere ed attraversare diversamente lagiornata del 1 maggio, non accontentandosi di una mera ritualitàcelebrativa ma smarcandosi visibilmente da quegli aggregati politici esindacali complici del disastro in atto; collocandosi invece nellospezzone dell'opposizione sociale come unica opposizione credibile,composta da quei soggetti che quotidianamente praticano e sperimentanouna politica altra e differente, costruita dal basso, contro leconcertazioni e le compatibilità che si consumano sulle nostre teste.

Un primo maggio di lotta:

  • Contro una crisi che non abbiamo creato noi ma che ci vogliono far pagare, per la  riappropriazione della ricchezza socialmente prodotta.
  • Contro l'arbitrato e il collegato lavoro che smantella l'art 18 e instilla la norma del contratto  individualizzato, reddito per tutt*, lavoro stabile e in condizioni di sicurezza.
  • Contro l'apartheid istituzionale che fa del lavoratore migrante la pietra angolare dello sfruttamento generalizzato della forza-lavoro, a fianco delle lotte migranti e per la chiusura dei cie.
  • Contro la "riforma" Gelmini e i finanziamenti alle scuole private, per una scuola e un'università pubbliche e di tutti/e.
  • Contro le biopolitiche di controllo su sessualità e riproduzione, per l'autodeterminazione e la libertà di scegliere in ogni ambito delle  nostre vite.
  • Contro lo sperpero delle grandi opere e la devastazione promessa dal Tav, a fianco del movimento NoTav e delle lotte per i beni comuni.
  • Contro le politiche repressive e l'apertura di spazi all'estrema destra, per una comune battaglia contro vecchi e nuovi fascismi.
  • Contro una Torino ridotta a vetrina  di grandi eventi che fanno gli interessi di pochi, per una città che metta al centro la qualità della vita ed un diverso uso delle risorse.
  • Contro la delega del nostro futuro ad una casta di politici, affaristi e speculatori, per una politica in prima persona centrata sui bisogni e i desideri di trasformazione.

Adesioni:


Network antagonista torinese (Csoa Askatasuna - Csa Murazzi – Kollettivo Studenti Autorganizzati - Collettivo Universitario Autonomo) - Confederazione Unitaria di Base (Cub) - Confederazione dei Comitatidi Base (Cobas) - Federazione delle Rappresentanze di Base (Rdb) - Sindacatodei Lavoratori (Sdl) - Collettivo Comunista Piemontese (Ccp) - Assemblealavoratori autoconvocati Torino (Alato) - Comitatodi quartiere Vanchiglia - Comitato“Ricordare la Nakhba” - Circolo di Rifondazione Comunista “Meyer-Vighetti” di Bussoleno - Rete Antagonista Torino Sud (Rats) - Csoa Gabrio - International Solidarity Movement Torino

martedì 27 aprile 2010

Atenei, i fantasmi della cattedra Migliaia i collaboratori nascosti


[www.repubblica.it]
Nessuno ha mai calcolato esattamente quanti siano, ma senza prendere una lira assistono i "loro" docenti, aiutano a preparare le tesi e spesso insegnano

di Manuel Massimo

Non affannatevi a cercarli sugli elenchi ufficiali o nelle banche dati del Miur: loro per l'anagrafe del Ministero dell'Università non esistono. Sono i tantissimi collaboratori di cattedra che "danno una mano" negli atenei, rigorosamente gratis e senza alcun riconoscimento di fatto del loro status. In concreto aiutano i docenti nelle piccole faccende pratiche (come fare ricevimento e correggere le tesi) ma in molti casi salgono anche in cattedra, tenendo lezioni e interrogando agli esami. In gergo si chiamano assistenti ma la definizione non rende bene l'idea dei loro compiti reali: spesso si tratta di factotum, "tappabuchi" a costo zero per tamponare le falle del sistema universitario, che intervengono laddove c'è bisogno.

Un fenomeno molto vasto che interessa di fatto tutti gli atenei italiani: quale rettore può sostenere che nella sua università non ci sia almeno un "collaboratore di cattedra" che lavora gratis nei locali dell'ateneo? Probabilmente nessuno ci metterebbe la mano sul fuoco. Soprattutto perché non è mai stato fatto un censimento: non avendo alcun inquadramento contrattuale si fa semplicemente finta che queste migliaia di persone non esistano, veri e propri fantasmi della cattedra.

Il precariato "ufficiale" censito dal Miur risale al 2008 ed è di 38mila unità, inclusi assegnisti e contrattisti; ma dei collaboratori "senza alcun riconoscimento formale" e dei cultori della materia che non percepiscono alcunché non c'è traccia. Un dato attendibile sul fenomeno nella sua complessità lo fornisce l'Andu (Associazione Nazionale Docenti Universitari), che a novembre del 2009 commentando il Ddl governativo sull'Università stimava in 70-80mila "i ricercatori precari che attualmente sono nell'Università, con un trattamento economico minimale o nullo, in condizioni di subalternità scientifica rispetto ai 'maestri' che li hanno reclutati".

Come si comincia. A scegliere è il professore: di solito il collaboratore di cattedra è un suo neolaureato che ha fatto una tesi particolarmente brillante e che aspira a mantenere un contatto con l'università. Intanto perché "fa curriculum" e poi anche perché è il mezzo più immediato per rientrare in facoltà - magari in attesa di un bando di dottorato - e cominciare a capire dall'interno come funzionano gli ingranaggi del sistema accademico: un'alchimia fatta di pesi e contrappesi, di cose da fare e altre da evitare.

Identikit del collaboratore. La casistica è piuttosto varia, le motivazioni che spingono un giovane a "regalare" tempo e lavoro al suo docente-benefattore sono molteplici: c'è chi punta sull'entusiasmo e vuole continuare a insegnare, sperando in un suo futuro inserimento stabile (in realtà molto remoto); chi vuole invece rimanere in contatto con i centri di ricerca e per farlo cerca di trovare un posto al sole all'ombra della cattedra. Ma non manca chi, secondo la logica spicciola del "do ut des", aspira semplicemente a fare il portaborse del barone di turno, in attesa che questa fedeltà venga adeguatamente ripagata in ambito accademico. In tutti i casi la molla che spinge a intraprendere questa strada è il fattore "prestigio" che deriva dal poter spendere il nome dell'università e della collaborazione con la cattedra: un valore aggiunto che non ha prezzo.

Studenti: amici/nemici. I collaboratori di cattedra generano sentimenti ambivalenti negli studenti che si relazionano con loro in due momenti "topici" della propria carriera universitaria. Il primo è all'esame: i giovani assistenti - spesso coetanei dei ragazzi che interrogano - in caso di eccessiva severità entrano nel mirino degli studenti (nei corridoi della facoltà ma anche su Facebook, dove esistono gruppi come "Qui odiamo gli assistenti universitari"). L'altro momento clou è nell'iter del lavoro di tesi: i collaboratori "invisibili" che seguono con diligenza i laureandi della cattedra ottengono un posticino nei ringraziamenti, con il loro nome stampato accanto a quello di amici e parenti. Una piccola attestazione "ufficiosa" che loro all'università ci lavorano per davvero, nonostante si faccia finta di non vederli.

lunedì 26 aprile 2010

Note parallele ad una strategia poliziesca già fallita


[www.uniriot.org]
Solidarietà da Torino ai compagni e alle compagne dell'Aut-Aut di Genova ...mentre s'avvicina il maggio 2010 No Rewind...

Da settimane si sussegue il gonfiarsi della mole di denunce contro i compagni e le compagne dell'Aut-Aut di Genova. Il tutto si inserisce all'interno del terzo segmento dell'operazione poliziesca Rewind, in riferimento agli scontri al G8 University Summit di Torino del 19 maggio 2009. Il ritmo scandito degli altolà dei questurini contro gli studenti e le studentesse dell'Onda di Genova che hanno partecipato alla straordinaria mareggiata torinese ha oramai assunto la dimensione del ridicolo... una settimana 5 denunce, quella dopo un altro paio, ogni tanto qualche scheggia impazzita mandata in missione solitaria... La conta all'oggi è ferma a 16, l'ultima denuncia la scorsa settimana. Ci vien quasi da ridere, anzi, togliamo il quasi. Ridiamo per l'inconsistenza giudiziaria di dispositivi repressivi vuoti, ridiamo per il metodo da circo usato dalle questure di Torino e indirettamente di Genova, ridiamo perchè non abbiamo paura.

L'accusa che viene propinata è quella del travisamento in manifestazione autorizzata! 16 denunce per teste copertasi - anche solo parzialmente! - sotto la pioggia di lacrimogeni esplosa dagli smarriti fronti polizieschi in corso Marconi, nell'impossibilità di contenere la determinazione e la rabbia di un'Onda non arginabile. Oltre ai compagni e alle compagne di Torino Bologna Padova e Napoli già sotto processo per il primo filone d'inchiesta Rewind, altre denunce sono arrivate nelle ultime settimane in altre città (nuovamente Bologna, Brescia e Venezia): che obiettivo ha l'elargizione di questi dispositivi di avvertimento? pretorini e sbirri pensano di intimorirci? Sbagliano ancora, peccano di meccanica presuntuosità. Il lascito soggettivo plasmato dall'Onda non è così misero da essere in balia dello sfizio repressivo di chi pensa di difendere la pace sociale minacciando, invitando alla ritirata chi invece cose da dire e da fare ne ha ancora tante, per cambiare questo paese di merda che la sua guerra ai giovani e alla loro sete di trasformazione l'ha dichiarata da tempo.

Nel frattempo, mentre il 19 maggio 2010 si avvicina, senza nessuna velleità commemorativa, ma nella politica determinazione di gridare ancora che "dietro quello scudo c'eravamo tutt*", stiamo costruendo a Torino e Bologna appuntamenti pubblici con i quali proseguiremo la nostra opera di decostruzione di Rewind, aggiungendo un ulteriore tassello simbolico di risposta ad un teorema repressivo già ribaltato.

Sulle vostre facce scorgiamo solo l'espressione frustrata della sconfitta.
Non siete riusciti ne riuscirete a fermarci.
Non ci arrendiamo, fatelo voi.

Solidarietà ai compagni e alle compagne di Genova

UniRiot Torino

Fuan e giovani pdiellini cacciati dalla palazzina Einaudi


[www.infoaut.org] Fascista bagnato,fascista fortunato!

Ennesima buffonata da parte del Fuan, componente giovanile del Pdl, alla Palazzina Einuadi di Torino. Un gruppetto di suoi militanti, orfani dei vecchi leader eletti in consiglio regionale, si presenta in università il giorno dopo il 25 aprile volantinando per l’elezione alla consulta nazionale, sterile organo rappresentativo distante più che mai dai reali terreni di rivendicazione universitaria. Gavettoni, cori derisori e uno striscione che allude al loro passato dichiaratamente fascista sono il comitato d’accoglienza che gli studenti riservano a questi giovani militanti di partito. Gli studenti fanno notare come i loro contenuti politici non siano per nulla al passo con la trasformazione della società in cui viviamo e sottolineano la loro incompatibilità con quell’idea di autoriforma dell’università che è il prodotto del movimento dell’Onda e di tutte le mobilitazioni che ancora oggi continuano a darsi.

Non è un mistero che il Fuan, completamente sottomesso al governo Berlusconi, sia favorevole al ddl Gelmini e quindi all'inevitabile smantellamento dell’università se saranno confermati i tagli ai finanziamenti pubblici previsti dalla legge. Inoltre, anche alla luce della manifestazione di sabato scorso contro il “Patto per la Vita” di Cota, viene sottolineato come questi soggetti siano sostenitori delle politiche oscurantiste volute dal governo e dei tentativi di impedire l’utilizzo della RU486 da parte del neoeletto presidente della Regione Piemonte. Ricordiamo come tutto ciò va di pari passo con l’ambizione ad imporre un modello di famiglia che non tiene conto delle esigenze del singolo individuo più una pericolosa retorica razzista, troppo spesso convertita in legge, che penalizza i migranti di questo paese e nega loro i diritti fondamentali.

Dopo un intenso speakeraggio il manipolo di razzisti è costretto a lasciare la palazzina scortato dalla polizia che, nel frattempo, impedisce agli studenti di entrare e uscire dalla sede universitaria. E’ impossibile non notare come ogni tentativo da parte di questi gruppuscoli di farsi pubblicità (nella speranza di racimolare qualche voto) corrisponda ad una totale militarizzazione degli spazi universitari, con decine di celerini in assetto antisommossa pronti caricare gli studenti e funzionari della Digos sfacciatamente minacciosi e provocatori.

domenica 25 aprile 2010

giovedì 22 aprile 2010

Gli indisponibili del Politecnico di Torino


[www.infoaut.org]
Occupato il rettorato dell'altra università torinese. Lavoratori e precari sempre più indisponibili...

Se qualche settimana fa erano stati i ricercatori dell'università di Torino, con la loro dichiarazione di indisponibilità in vista del prossimo anno accademico, a smuovere le acque delle università del nostro paese, imponendo soprattutto sotto il naso delle autorità accademiche problematiche rimaste irrisolte (se non peggiorate!), quest'oggi, a prendere maggiore intensità è stato il focolaio del Politecnico, sempre nella città piemontese.

Annunciato già da diversi giorni, dopo una serie di assemblee tenutesi in ateneo, lo sciopero proclamato dalle 10 alle 12 dalle Rsu ha ottenuto il risultato sperato, probabilmente andando anche al di la delle previsioni per quanto riguarda le adesioni del personale tecnico-amministrativo e dei precari. Questa mattina il presidio nel cortile interno dell'università di corso Duca degli Abruzzi si è man mano fatto più partecipato, centinaia di lavoratori precari e studenti han deciso prima di fare un corteo interno e poi di andare ad occupare il rettorato!

Hanno preteso di parlare con il rettore Profumo, occupando la sua "stanza dei bottoni", luogo dal quale da tempo partono promesse che poi puntualmente non vengono mantenute... Le richieste che il personale tecnico-amministrativo esercita da mesi sono rimaste disattese, il che è ancora più inaccettabile dinnanzi al progetto di ristrutturazione pensato dal direttore amministrativo Periti, disegnato senza nessuna condivisione con coloro che ne sono i destinatari... L'occupazione del rettorato sembra aver colpito nel segno, visto che il rettore Profumo, questa volta, messo con le spalle al muro dalla forza della protesta, ha dovuto aprire alle rivendicazioni del personale tecnico-amministrativo, assumendo impegni pubblicamente...

Nel pomeriggio si è poi tenuto il senato accademico, dentro il quale sono riusciti a guadagnarsi la parola anche i precari del Politecnico, che si sono presentati in delegazione (una cinquantina) dentro la sala dove si stava tenendo la seduta, strappando il risultato che al prossimo senato si discuta del destino dei ricercatori precari dell'ateneo, nella minaccia (come fatto dai colleghi dell'altro ateneo torinese) di blocco dell'anno venturo...

...si allunga la lista e la determinazione di chi si è "proclamato indisponibile"...

mercoledì 21 aprile 2010

Sciopero al Poli, domani chiusi aule e uffici


[www.lastampa.it/torino]
Nel mirino il direttore amministrativo, i sindacati: «Non rispetta gli accordi»

di Andrea Rossi


Le segreterie? Chiuse. Le aule? Sbarrate? I dipartimenti? Senza segretari né addetti. I laboratori? Senza tecnici. Le segreterie studenti? Vuote, nessuno a ricevere gli iscritti, chiarire dubbi e stampare moduli. Tutte le altre segreterie? Chiuse. Le biblioteche? Porte sbarrate: niente libri in consultazione, né prestiti. Sarà difficile persino fare una fotocopia, perché al centro stampa potrebbe non esserci nessuno.

Tutto fermo. Forse è il primo caso di sciopero «ad personam». Di sicuro rischia di paralizzare il Politecnico per un giorno. Domani il personale tecnico e amministrativo di corso Duca degli Abruzzi - più le cinque sedi decentrate, cioè Vercelli, Verres, Alessandria, Mondovì e Biella - incrocia le braccia, e lo fa con un bersaglio preciso: il direttore amministrativo Enrico Periti, in carica da circa dieci mesi.

Le Rsu hanno proclamato due ore di serrata, dalle 10 alle 12, che però potrebbero estendersi al pomeriggio, quando si riunirà il Senato accademico. Ai quasi 900 tecnici e amministrativi si aggiungeranno i 750 precari della ricerca, «da mesi in attesa di un tavolo di trattativa per vederci riconoscere diritti essenziali», scelta che minaccia di aggravare la situazione sul fronte didattica, visto che molti - oltre a lavorare nei dipartimenti - insegnano, ricevono gli studenti e seguono le tesi. Professori e studenti, insomma, rischiano di restare soli, privi di una rete di sostegno e supporto indispensabile.

Una serrata così - per ragioni interne - al «Poli» non la vedevano dal 1998. «È una mossa necessaria, perché il clima è diventato pesante», spiega Rino Lamonaca, uno dei rappresentanti sindacali al Politecnico. «C’è un atteggiamento dirigista e decisionista che non tiene conto del parere dei lavoratori e nemmeno li consulta, come invece prevede la legge».

Il riferimento è al direttore amministrativo Periti. Piacentino, 45 anni, laureato in Scienze politiche, è arrivato a settembre prendendo il posto di Marco Tomasi, nominato direttore generale del ministero dell’Università. «Il suo arrivo ha decretato un cambio radicale nei rapporti interni all’ateneo - racconta Patrizia Lai, un’altra delegata sindacale -. Accordi precedentemente firmati, come la stabilizzazione di venti colleghi precari, sono stati stralciati. È stata varata una riorganizzazione interna: con il blocco del turnover e i prepensionamenti si è ridotto l’organico tecnico, si sono accorpati dipartimenti creando così personale in esubero da destinare a settori rimasti scoperti. Il tutto in maniera unilaterale».

Altro episodio che ha alimentato il clima di rivolta è il calendario per il prossimo anno accademico. L’ateneo chiuderà i battenti per 16 giorni. Così si pensa di risparmiare 200 mila euro. «Peccato che la riorganizzazione interna e il calendario per legge siano questioni che andrebbero discusse con i lavoratori. Così non è stato», fa sapere Antonio Grassedonio delle Rsu. Dall’ateneo, per ora, nessun commento.

Studenti in movimento per cavalcare l'Onda. Proiezione Youngstown a Palazzo Nuovo


[www.ilmanifesto.it] «Youngstown», vite precarie da docu-fiction

di Benedetto Vecchi

Computer sempre acceso e connesso alla Rete, televisore perennemente sullo sfondo. E una casa affastellata di libri, letti in disordine e arredamento minimal. Sono gli interni del video Youngstown - un'altra volta, un'altra Onda girato emontato come una docu-fiction dal gruppo romano, coordinato da Maurizio Gibertini di Officina multimediale. Si racconta l'Onda che per alcuni mesi invase le strade di Roma, Bologna, Milano, Pisa e Firenze per protestare contro il progetto di controriforma dell'Università targatoMaria Stella Gelmini e Giulio Tremonti. Filo conduttore, due giovani studenti universitari di Roma che alternano studio, lavoro (precario) e partecipazione al movimento. A loro modo, sono figure rappresentative della contemporanea condizione studentesca che non conosce confini e frontiere. Se si leggono, infatti, le cronache delle mobilitazioni studentesche austriache, tedesche, francesi, greche e statunitensi degli ultimi due anni, non ci sono poi così differenze rispetto la vita (metropolitana) di Vienna, Parigi, Roma, Atene o Berkeley. Tutti gli studenti sono inseriti in percorsi formativi che devono essere bruciati nel minor tempo possibile, perché l'università è una fabbrica del sapere che tritura bisogni e desideri nei tristi meccanismi dei crediti formativi. Ma una volta usciti, corrono il rischio di essere risucchiati nel gorgo della precarietà. L'università, cioè, invece che preparare la futura classe dirigente è un dispositivo che addestra all'eterno presente di una «vita precaria». Questo non vuol dire che nell'università non si riflettono le differenze di classe presenti nella società. Più prosaicamente, la futura classe dirigente si forma sempre più fuori dall'università di massa scaturita dalla rivoluzione mondiale del Sessantotto.

Il video alterna la vita dei due giovani con immagini delle manifestazioni in giro per l'Italia e con interviste a ricercatori (precari), docenti e architetti. Il ritmo delle immagini che scorrono è paragonabile a quello della calma prima che inizi la mareggiata e l'onda che tutto rimette in movimento. I dialoghi in interno hanno il potere ipnotico di una asfissiante normalità che, invece, il movimento, l'onda riesce a infrangere. E tutto ciò potrebbe far pensare che lamiseria della condizione studentesca tale sia destinata a rimanere. Quando le riprese si spostano nella strada, zigzagando tra cortei che sembrano happening, il video decolla, quasi a suggellare il fatto che le «vite precarie » dei giovani possono manifestare potenza politica solo se si mettono in movimento. Non è un caso che la colonna sonora dell'Onda oscilli tra un pop raffinato e il rap delle banlieues francesi. Il video di Officina multimediale, tuttavia, registra la capacità dell'Onda di non volere essere un movimento reattivo a una proposta di legge sull'università. Per mesi, l'ordine del discorso di questo movimento ha messo l'accento sul fatto che la crisi economica non poteva essere pagata dagli studenti o dal «lavoro vivo». Accanto a questo, l'Onda ha sottolineato come la condizione studentesca non fosse analizzabile se veniva rimossa la questione della precarietà e dalla dismissione del welfare state. Dunque, un movimento che ha rivendicato da subito la sua politicità e la sua autonomia dalle forme organizzate della politica istituzionale. Da qui, gli intermezzi e le interviste presenti nel video su come le forme di controllo messe in campo dal governo italiano hanno sempre oscillato tra la minaccia di usare le maniere forti e una gestione degli spazi metropolitani affinché le manifestazioni non interrompessero i flussi produttivi. E di come, però, il movimento è sempre riuscito a infrangere talimeccanismi di controllo, riuscendo, talvolta, a «bloccare la città». Il videomette a fuoco ciò che era accaduto con un ritmo che alterna il rallenti con accelerazioni, introducendo così, implicitamente, cioè che è accaduto con la risacca. Ma siamo ai titoli di coda. In attesa di una nuova mareggiata.

Il video sarà presentato oggi (21 aprile) a Torino a Palazzo Nuovo (ore 16.30, via S. Ottavio 20), mentre domani dopo verrà presentato a Milano (ore 16.30, via del Conservatorio 7)

martedì 20 aprile 2010

Patti chiari solo con la Chiesa. Giovani precari/e non pervenuti/e


[cuatorino.blogspot.com]
Se il buongiorno si vede dal mattino... Ecco cosa ci ha donato Cota nel suo primo mese da Presidente della regione Piemonte... [contributo del Collettivo Universitario Autonomo per l'opuscolo "Stato e Chiesa. Una relazione pericolosa"]

Quando ancora molti non si erano ripresi dallo shock causato dalla notizia della vincita di Cota in Piemonte, ecco subito arrivare la “bomba”, ovvero la notizia del “Patto per la vita e la famiglia” firmato dal suddetto leghista e che fa della lotta alla libertà di scelta degli individui, in particolare donne, gay, lesbiche, transgender e migranti, la sua crociata personale. Sei punti le cui parole chiave sono VITA e FAMIGLIA, ovviamente presentate da un punto di vista meramente cattolico. La vita da difendere è quella dell’embrione non ancora formato, quella delle tante Eluana ormai in stato vegetativo persistente, e dei bambini a patto che siano nati da una famiglia monogamica ed eterosessuale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. E gli/le altri/e? La vita della donna in quanto donna e non per forza in quanto madre passa completamente in secondo piano. Più soldi ai movimenti cattolici antiabortisti e totale messa in discussione della libertà d’aborto attraverso una campagna persecutoria contro la pillola abortiva RU486, colpevole di permettere di abortire in maniera fisicamente meno invasiva e dolorosa (e sottolineiamo fisicamente) e di far sentire gli obiettori di coscienza “delegittimati” nel loro “lavoro”. Per quanto riguarda gay, lesbiche e transgender, Cota respinge vigorosamente i loro diritti e non riconosce la loro libertà di scelta in campo sessuale. Anzi, pare proprio non voler riconoscere essi/e stessi/e in quanto tali. Non essendo eterosessuali, l’eventuale “famiglia” che decidessero di fondare non sarebbe comunque riconosciuta, non avrebbe valore, quindi niente politiche di sostegno.

E gli/le immigrati/e? Beh, Cota non poteva certo esimersi dal pronunciarsi rispetto a uno dei temi che più stanno a cuore alla Lega, ovvero la loro espulsione. Qui tutto si gioca nella fondamentale distinzione tra buoni (e qui rientrano soprattutto donne –intese come badanti- mamme e bambini) e cattivi (il gruppo più numeroso). Ovviamente per questi ultimi è previsto il rimpatrio, non prima di un “soggiorno” nei CIE, un carcere a tutti gli effetti. Arrivano però anche le buone notizie. Sì, ma solo per la chiesa cattolica, a cui stanno per arrivare ingenti somme di denaro –come se il Vaticano ne avesse davvero bisogno! E mentre noi studenti e studentesse delle superiori e delle università pubbliche ci confrontiamo ogni giorno con il degradante effetto degli ingenti tagli alla formazione a cui la Riforma Gelmini ha contribuito a dare la stoccata finale, ecco che Cota ci parla del ruolo unico svolto in Piemonte in oltre trecento anni di attività dalla scuola cattolica, che ha reso alla nostra regione servizi inestimabili, promettendo erogazioni di bonus o rimborsi per le famiglie che opteranno per questa scelta per l’educazione dei loro figli. E proprio su questo punto si apre una contraddizione enorme che ovviamente ricade su noi studenti e studentesse iscritti all’università pubblica. La litania del non ci sono soldi per l’istruzione e la ricerca c’è l’hanno ripetuta all’infinito. Ci siamo visti tagliare i fondi in maniera spropositata e a pagarne le conseguenze sono stati interi corsi di laurea, docenti, ricercatori, personale pubblico-amministrativo e soprattutto noi studenti. La legge Gelmini ha di fatto decretato la morte dell’università pubblica per come la conosciamo svendendola ai privati. Peccato che lo stesso discorso non valga per scuole e università cattoliche. Ogni anno la legge finanziaria diventa sempre più generosa nei confronti di queste istituzioni – in teoria - private, ma sempre più sostenute dai sussidi derivanti dal denaro pubblico.

Insomma la crisi c’è ma a quanto pare c’è anche chi non la paga. E a guardare bene i piani di Cota, tra coloro che probabilmente la pagheranno di più, ci siamo anche noi giovani. A parte il venir giudicati in base a criteri fondati su religione, orientamento sessuale e razza, non c’è alcun riferimento all’opprimente stato di precarietà in cui la maggior parte di noi si trova a vivere e dal quale non si prevedono sbocchi. La parola giovani viene citata solamente in un punto del Patto, ma solo per parlare di giovani coppie che intendano contrarre matrimonio, allora sì, in questo caso, degne di supporto. E per tutti gli altri e tutte le altre? Non una parola, non una proposta per tentare di contrastare la crisi in cui versa l’università pubblica o il mondo del lavoro, a loro volta generati da una crisi strutturale a cui non si accenna minimamente. Ma siamo proprio sicuri/e che il sostegno alla vita qui non c’entri niente? Per caso per Cota esistono vite (o pseudo-vite) di serie A che vanno sostenute con tutte le forze (e i soldi) e vite di serie B immeritevoli di qualsiasi supporto o semplicemente non degne di nota? Ciò che lascia completamente basiti/e è la totale mancanza di presa in considerazione delle persone in quanto individui e non in quanto soggetti per forza appartenenti ad un nucleo familiare (per sua stessa definizione eterosessuale, monogamo e cattolico). Noi giovani rappresentiamo uno spaccato infinitamente variegato, che non vuole essere racchiuso in nessuna norma e non per questo qualcuno può ritenersi in diritto di non considerarci tra le priorità o di non darci la possibilità di accedere a politiche sociali volte a migliorare la nostra condizione di vita. Perché sicuramente tutti/e noi abbiamo diritto di vivere una vita che sia degna … anche se non siamo più embrioni e anche se non sogniamo un futuro da genitori/catechisti. La libertà e la possibilità di decidere del nostro futuro, di scegliere se continuare a studiare o lavorare, se vivere da single o in un nucleo da 5, se fare sesso con un uomo,una donna o un trans ,se vivere con i genitori o fuori casa, se dover rimanere in un contesto di guerra in Sudan o poter migrare in Italia, sono tutte libertà e possibilità che devono essere da noi pretese e dalla società garantite, anche se non si tratta di scelte fondate sulle sacre scritture!

Probabilmente pensano di ricompensarci offrendoci il ruolo di spettatori appagati di fronte ad una Torino stravolta da un multi orgasmo collettivo (ovviamente mistico, per carità!) alla sola visione della sindone e del santo padre. Un santo padre che invece di fare almeno un cristiano Mea Culpa a seguito dello scandalo riguardante le molestie sessuali e le violenze subite da numerosi bambini da parte dei preti, non riesce a fare altro che continuare i suoi attacchi contro l’aborto e contro la libera scelta delle donne. La sua è una difesa della vita- ci spiega. Viene fin troppo facile ricordargli che la chiesa dovrebbe preoccuparsi un po’ di più di salvaguardare l’integrità della vita dei già nati, piuttosto che fare le crociate conto la 194 o l’uso del preservativo e non fornire così l’unico strumento in grado di proteggere le persone dall’AIDS. No, decisamente la visita del papa non ci troverà né entusiasti né ben disposti ad accoglierlo nella nostra città. A chi spetta quindi il compito di riuscire a spazzar via questa coltre di fumo nero che sta investendo Torino e la società intera? Chi ha sicuramente il potere e il dovere di intervenire siamo proprio noi giovani, che non possiamo accettare l’imporsi di una cultura profondamente razzista che cancella le nostre differenze, che non ci rispetta e che pretende l’adeguamento di tutti/e ad una sola morale, che racchiude in sé principi appartenenti al fondamentalismo cattolico della peggior specie affiancati ai sentimenti più spregevoli quali razzismo, xenofobia e omofobia e una rabbiosa intolleranza di fondo che si scatena contro chi non è omologabile al modello unico previsto. Si tratta di partire proprio dalle nostre scuole o università, luoghi di cultura in cui sentimenti di questo tipo vanno contrastati fin da subito e con ogni mezzo.

I NO vanno detti e vanno detti senza indugi e gridati, in modo che si sentano forti e chiari, che non lascino ambiguità di sorta rispetto a quello che pensiamo e a ciò che rigettiamo. Spetta a noi giovani donne e giovani uomini qualsiasi sia la nostra condizione attuale di vita, studenti o lavoratori, disoccupati o cassintegrati, etero o gay, italiani o migranti, ma sicuramente tutti accomunati da un presente ed un futuro precario, far emergere quali sono i NOSTRI temi e non permettere che siano politici (né di destra né di sinistra) o chiesa a dettarceli. I nostri corpi sono sempre più terreno di scontro politico ed è proprio a questa strumentalizzazione che dobbiamo reagire. I temi all’ordine del giorno dobbiamo saperli costruire noi. Altrimenti la strada è quella che va verso l’arretramento culturale e l’imbarbarimento sociale. Noi dobbiamo pretende di andare verso un’altra direzione, la nostra.

REAGIRE E RIAFFERMARE LA NOSTRA LIBERTA’ DI SCELTA DEVE ESSERE LA NOSTRA PRIORITA’

lunedì 19 aprile 2010

La Corte dei Conti boccia la laurea breve


[www.rainews24.it]
La Corte dei Conti boccia la riforma universitaria che ha introdotto il sistema a doppio ciclo, laurea e laurea specialistica (cioè quella breve), spiegando che "non ha prodotto i risultati attesi" nè in termini di aumento dei laureati nè in termini di miglioramento della qualità dell'offerta formativa. Anzi, sostiene la magistratura contabile in un Referto sul sistema universitario appena pubblicato, ha generato un sistema incrementale di offerta "con un'eccessiva frammentazione ed una moltiplicazione spesso non motivata dei corsi di studio".

La Corte dei Conti boccia la riforma universitaria che ha introdotto il sistema a doppio ciclo, laurea e laurea specialistica (cioè quella breve), spiegando che "non ha prodotto i risultati attesi" nè in termini di aumento dei laureati nè in termini di miglioramento della qualità dell'offerta formativa. Anzi, sostiene la magistratura contabile in un Referto sul sistema universitario appena pubblicato, ha generato un sistema incrementale di offerta "con un'eccessiva frammentazione ed una moltiplicazione spesso non motivata deic orsi di studio".

La Corte stima che dopo le riforme del 2004 e del 2007, solo dall'anno accademico 2008-2009, c'è stato un'inversione di tendenza. C'è da segnalare poi "il rilevante fenomeno dell'incremento delle sedi deccentrate e il peso via via crescente nassunto dai professori a contratto esterni ai ruoli universitari". C'è da dire, inoltre, che il sistema non ha migliorato la qualità dell'offerta formativa "anche in termini di più efficace spendibilità del titolo nell'ambito dello spazio comune europeo".

Per la magistratura contabile, "gli effettivi sbocchi occupazionali che offrono i diversi corsi di laurea dovrebbero guidare l'andamento delle immatricolazioni e l'orientamento degli studenti verso le differenti tipologie di crisi".

Rettore Pelizzetti: non ti laverai la coscienza con questa Conferenza!


[www.infoaut.org]
Si è tenuto oggi pomeriggio il secondo dei tre appuntamenti in cui il Rettore dell'Università di Torino, Ezio Pelizzetti, ha deciso di strutturare (e convocare) la Conferenza d'Ateneo. Conferenza che, se da una parte, è stata un atto dovuto dopo le pesanti pressioni create dalle proteste dei ricercatori e dalle continue rivendicazioni dei precari e degli studenti, dall'altra si voleva presentare come tentativo da parte delle istituzioni accademiche di porsi in modo accondiscendente nei confronti di tutti gli altri soggetti che realmente vivono l'università, un modo per dire che "anche loro" sono contro questo DDL attualmente in discussione in Parlamento.

Forse, però, non tutto è andato secondo i piani...

Dopo le relazioni iniziali del Direttore Amministrativo, del Rettore stesso e della professoressa Perroteau (presidente del nucleo di valutazione) che hanno illustrato come e quanto l'università di Torino sia bella e brava nella "gestione della complessità" della crisi in atto, si sono susseguiti numerosi interventi da parte di ricercatori, studenti, precari e persino di qualche docente, che hanno duramente criticato i contenuti e la struttura stessa di questo appuntamento.

Da tutti è stato sottolineato come il loro modo di porsi altro non è se non una gestione della crisi dell'università, un mettere le pezze qua e là, il tentare di salvare l'insalvabile, il tutto a spese dei soggetti più coinvolti dai tagli, ovvero i precari e gli studenti e di come ben poco questo approccio assomiglia ad una reale presa di posizione contraria alla riforma.

Molti degli interventi hanno infatti richiamato la ricchezza e le potenzialità di un movimento come quello dell'Onda, movimento che a più riprese aveva chiesto a Rettore e Senato Accademico una presa di posizione radicale (quali, ad esempio, le dimissioni), richieste alle quali si è sempre preferito fare orecchie da mercante. Gli studenti, ma anche i precari e i ricercatori, hanno fatto notare come le istituzioni accademiche si siano imbellettate di termini quali autoriforma (!) e gestione della governance senza però mai porsi il reale problema che sta alla base di questo tracollo dell'università pubblica e hanno accusato le istituzioni accademiche di voler semplicemente mirare a consolidare gerarchie di potere già ben note (e che essi vedono in qualche misura traballare con l'ingresso dei privati nelle sedi decisionali).

In gioco, è stato più volte ripetuto, infatti, c'è molto di più dell'essere e mantenere il titolo di "università di eccellenza", dell'interesse corporativo di alcune componenti dell'università, o dell'intraprendere carriere politiche e avviare progetti privati. La posta in palio è infatti molto più alta, perchè in gioco c'è il futuro dell'università pubblica tutta, oltre al futuro di migliaia e migliaia di giovani.

Mentre i precari hanno messo l'accento sulla mancanza di rappresentanza (non erano neanche stati menzionati nell'invito alla conferenza!) e sulla situazione sempre più difficile in cui si vengono a trovare, i ricercatori hanno nuovamente dichiarato la loro indisponibilità a fare più ore di lezione di quelle previste per legge, minacciando dunque la quanto mai reale possibilità che la maggior parte dei corsi (soprattutto le specialistiche delle materie scientifiche) il prossimo anno non partano, in quanto rimarrebbero scoperti un gran numero di insegnamenti.

Tutti gli intervenuti hanno rimarcato la necessità di una risposta immediata e il più possibile unitaria, offrendo per l'ennesima volta la possibilità a Rettore (e company) di diventare parte della soluzione e non del problema (come finora è stato). Mentre i ricercatori hanno chiesto al Rettore e al Senato accademico di fare in modo che la settimana di maggio in cui hanno già previsto di sospendere le loro attività, venga trasformata in una settimana di sospensione completa della didattica a livello di d'ateneo, gli studenti hanno rilanciato la palla sul prossimo autunno, chiedendo al Rettore di convocare una vera e propria Assemblea d'ateneo, in cui sia realmente possibile (senza doversi iscrivere prima, sia per partecipare che per intervenire!) confrontarsi su come opporsi alla riforma.

Il Rettore, in palese difficoltà, non ha ovviamente dato alcuna risposta alle richieste, rimandando tutto al prossimo Senato Accademico e al terzo incontro della Conferenza d'Ateneo, previsto per il 18 maggio.

Ma oggi era davvero chiaro a tutte e tutti che: Pelizzetti... o sei parte della soluzione o sei parte del problema! Non sarà una conferenza a lavarti la coscienza!

sabato 17 aprile 2010

Riflessioni su Acmos, Scuola di politica, Libera e pseudo-cultura della sinistra giustizialista


[www.ksainfo.it] Ho maturato una serie di riflessioni personalissime da proporvi un po' come provocazione un po' come contro-voce alla dialettica di alcuni personaggi a mio parere piuttosto ambigui. Non mi perderò in personalismi sul soggetto di Mattiello (anche se ce ne sarebbero da raccontare di chiacchiere da bar), ma cercherò di lanciarmi entro le mie modeste possibilità in un'analisi di ciò che è Acmos e di perché una vera contro-cultura di sinistra dovrebbe disdegnare questo tipo di associazione. Prego i pedagoghi e gli studenti "politicizzati" di quell'alterità così poco alternativa di seguire il ragionamento senza preconcetti mortificanti. Su più piani si può sviluppare una critica alle contraddittorietà insite in questa forma di associazionismo, per il momento ne circoscriverò (in modo semplicistico) tre. Si può partire dall'intento stesso: Acmos si definisce come un'associazione che si occupa dell'educazione alla cittadinanza attiva. Cosa significa e in che termini si può stabilire cos'è educazione e in cosa consiste il concetto di cittadinanza attiva? E ciò che qui viene chiamata educazione non è forse più simile al disciplinamento? Ma consideriamo un punto per volta e svisceriamo le obbiezioni: come alcuni dei magnificenti pedagoghi di cui sopra potranno insegnarmi risiede una profonda differenza tra il concetto di educazione e quello di disciplinamento, dove in disciplinamento si può considerare come una locuzione particolare di "normalizzazione". In questi mesi abbiamo spesso parlato di "normalizzazione" per quanto riguarda le trasformazioni che sta subendo la scuola e sarà ormai noto a quasi tutti ciò che significa. Per dirla alla cazzo la "normalizzazione" consiste nell'eliminazione della coscienza critica e nell'iper-controllo atto a evitare lo sviluppo del conflitto sociale, quindi nel costruire un cittadino modello, ma a modello di mercato e di capitale. In questo contesto si inserisce (consciamente e in parte subconsciamente se vogliamo essere buoni) il ruolo di Acmos. Il disciplinamento praticato attraverso la cosiddetta scuola di politica (come se la politica potesse essere insegnata) non è altro che il tentativo di incanalare sotto dei binari già prescritti e (appunto) "normalizzati" i possibili militanti e interlocutori del conflitto sociale. Nella scuola di politica intesa da questi arguti (enorme ironia) sociologi non c'è alternativa a questa democrazia direzionale che ormai risponde così poco alle esigenze degli individui (attento bene a non parlar di cittadini!) e così tanto a quelle del mercato. Per loro non c'è alternativa a un sistema di deleghe (che contraddicono quindi la caratteristica "attiva" della cittadinanza) ormai in crisi non solo in Italia, ma in tutto il mondo, tanto che ormai tutti i politologi anche i più reazionari e conservatori parlano di crisi della democrazia. Si insegna un rispetto delle norme assoluto e imperante anche dove le norme di fondo sono contraddittorie non solo con i bisogni dei singoli ma anche col concetto di Stato e statalismo stesso. Tutte le politiche altre (che dalla Rivoluzione Francese in poi sono state le uniche a cambiare la geopolitica e la micro politica sociale dal basso) sono ignorate e considerate scarti da giustiziare. Le vere alternative (e quindi le vere alterità) marcate dal disincanto sociale vengono bollate come diaboliche e criminali solo perché esprimono le necessità ultime e sono veramente capaci di creare dissesto. Ma al di là di questo voglio tornare sul concetto di binario unico e di "normalizzazione" morale e sociale. Queste ale politiche staccatesi dalla destra di un PCI ormai allo sfascio e rientrate subito nelle file del post-comunismo giustizialista hanno assunto come termini unici di scesa in piazza (anche in quelle rare occasioni per modo di dire) la difesa della costituzione e della democrazia, proprio quella democrazia che essendo garante del sistema costituito crea le problematiche contro cui lottano. Quindi o inconsapevolmente sono dei cani (rincoglioniti) che si mordono la coda oppure consapevolmente sono dei bastardi complici di questi meccanismi perversi di riciclo della crisi. Non mi interessa sentenziare a quale delle due categorie appartengano (infondo non so nemmeno quale sia la peggiore) ma trovo disgustoso e in parte arido l'utilizzo che quindi viene fatto della capacità creativa e sociale adolescenziale, in una totale assuefazione alle pratiche dell'arrendevolezza, dell'inserimento produttivo e dell'estraneazione. Quasi un sovietismo autoindotto (che contraddizione!), dove non esiste ribellione ma esclusivamente critica, dove l'unico mezzo di pseudo-protesta è la lettera di "denuncia" (chi ha visto Good Bye Lenin sa cosa intendo) o la discesa in piazza pacifica e sottomessa. Cosa veramente di poco conto per questi intellettualoidi "nuova razza istituzionalista" di una sinistra smangiata e arteriosclerotica. Questa sinistra che schiera i miti (ma quelli commerciali) di Che Guevara vicino alla bandiere della pace facendo un pot-pourri di ideologie e contestualizzazioni storiche diverse e incoerenti tra loro. Mi sono un po' dilungato su questo punto (nonostante questo ciò che ho preso in considerazione è solo una brevissima parentesi di ciò che andrebbe discusso), ma non preoccupatevi ne ho ancora di facezie divertenti (si fa per dire) da raccontarvi. Indi per cui passiamo al secondo punto. Fin'ora ho criticato alcuni aspetti se vogliamo legati alle ideologie (contraddittorie) di cui Acmos si fa bandiera, con la pretesa di educare (pretesa che io personalmente non mi pongo, infatti con questo scritto non ho nessuna intenzione di invasare qualcuno, ma piuttosto di pormi e porvi delle domande e proporvi quelle che sono le mie modeste risposte) adesso invece voglio parlare del sistema interno di Acmos in quanto associazione (in questi termini si svilupperà anche il terzo punto ma su un piano più ideologico e generale). Infatti la così ostentata democrazia all'interno di questa associazione manca del tutto! O almeno manca negli aspetti della partecipazione. Mi spiego meglio: Acmos in realtà è un'associazione dai forti connotati gerarchici e ha un sistema di funzionamento all'interno dei GEC (Gruppi di educazione alla cittadinanza) fortemente personalista. Basti pensare che il nome GEC è stato scelto da Mattiello perché gli piacciono i gechi! (Ok avete ragione avevo detto niente pettegolezzi). Ritornando a noi, le strutture portanti di Acmos sono affidate esclusivamente ai fedelissimi in modo che nessun intervento di esterni possa cambiare la rotta al barcone. Alla faccia della democrazia! Alla faccia della partecipazione! Alla faccia dell'attivismo! Proprio in questi termini si sviluppa una critica (il terzo punto) allo strumento dell'associazione, ormai superato rispetto al concetto di autorganizzazione e quindi di politica veramente dal basso. L'associazionismo si costituisce di se e per se di un modello poco dinamico alle trasformazioni sociali e favorisce in ogni sua espressione l'aspetto competitivo e concorrenziale, individualista nel senso marcio, dove la partecipazione non è altro che la spinta all'arrampicamento sociale anche al di fuori dei meccanismi lavorativi. Ogni associazione vive di un resoconto economico gestito da pochi e da chi per elezione o per maturità (dubbia) all'interno di essa stessa ha quindi il controllo. L'autorganizzazione elimina in tronco qualsiasi di questi problemi e risponde secondo necessità e secondo bisogni alle trasformazioni sociali e alla sensibilità di spostamento del conflitto. Non ha vertici ma solo militanti eguali nel rispetto delle loro esistenziali diversità. La politica dal basso, matura, alternativa, contro e insieme altra, viva, lucente e lucida, formata di una cultura propria svincolata dai termini del mercato e del capitale è questa. Specie in questo momento socio-politico. Specie in queste maree di populismo alla buona e di sentimenti preconfezionati Bauli da borghesotti pietisti.

Note su Libera: l'associazione "antimafia"

Come in ogni aspetto dell'analisi sociale degli intellettuali di Acmos e Libera anche nel concetto di mafia e nella conseguente espressione di antimafia c'è una visione banale e folkloristica di ciò che è questo fenomeno e di quale sia il suo genoma evoluto al mondo attuale. Non sono un grande esperto ma mi permetto di fare un paio di considerazioni che credo chiunque con un minimo di ragionamento possa fare. La visione di Libera delle mafie (come ama dire Mattiello, per una volta giustamente, perché la mafia non è una sola ed è tutta intorno a noi) considera questo fenomeno come un fenomeno di caratura esclusivamente sociale (come farebbe un anarcoide, va beh un anarcoide lo farebbe con tutto) evitando di tuffarsi e di certo non a malincuore in quelli che sono gli aspetti politico-economici della questione. Infatti noi corroborati dal vecchio e nuovo marxismo e dall'amore che ancora proviamo per i buoni vini non ci stancheremo mai di affermare che ogni fenomeno di questo genere è strettamente intrecciato con il capitale e con il mercato. Si può affermare in modo un po' semplicistico che le mafie ora come ora siano una fazione estrema e sicuramente la più produttiva del mondo neoliberalista, mondo di cui la democrazia attuale è garante. Democrazia che è difesa da Libera. Ma allora Libera difende i mafiosi? E' un po' troppo iperbolica come visione ma di certo ha del vero. Infatti è evidente a tutti che nell'Italia dagli anni 50 fino ai giorni nostri Stato e Mafia hanno convissuto insieme in simbiosi essendo in tutti i sensi e in tutte le sfaccettature facce della stessa medaglia (il mondo liberale, anche quello progressista) e parassiti reciprochi. Quindi è evidente che non si può distruggere la mafia se non distruggendo (o almeno cambiando interfaccia) il mondo capitalistico. Abbiamo visto (addirittura in Gomorra) come il "Sistema" non sia altro che un'enorme e flessibile e geniale nella sua orribilità azienda post-moderna (anzi iper-moderna). Quindi non è nel cambiare le teste e nel cambiare le coscienze o perlomeno non solo che ci si può definire antimafia. Ma si è anti quando si cerca di sradicare le mafie e per sradicare le mafie bisogna sradicare il sistema di cui il "Sistema" non è altro che un ingranaggio. Sarebbe bello se la mafia sparisse a mattina dopo un lungo volantinaggio e una bella assemblea auto(?)gestita, ma purtroppo non è così ed è da ingenui pensarlo. Ammettendo che lo sostengano davvero! Ammettendo che non siano solo ideali di comodo...

Curiosità su Peppino Impastato e sul fatto che non centri un cazzo col modo di fare politica di Libera

Uno dei grandi eroi di cui si forgiano e si sono appropriati (indebitamente, che casualità!) i militanti di Libera è la figura di Peppino Impastato. Tutti voi sapete chi è Peppino senza dubbio e conoscete la sua storia dalle decine di proiezioni a scuola durante le assemblee di istituto dei Cento Passi. Beh forse non sapete che Peppino Impastato veniva da Democrazia Proletaria (lo dice anche nel film) (<>). Democrazia Proletaria era la rappresentanza parlamentare (sotto forma di esperimento) di alcune fazioni movimentiste quali ad esempio Lotta Continua e Potere Operaio. Come molti di voi sapranno queste organizzazioni non erano di certo pacifiche e tantomeno giustizialiste. Per cui i signorotti di Libera evitino di associare una figura come quella di Peppino alle loro battaglie legalitarie e alle loro crociate contro i movimenti antagonisti, di cui a suo tempo Impastato era parte. Almeno non gettino fango sulla tomba dei morti. E' troppo facile fare coincidere il concetto di antimafia col concetto di giustizialismo, ma l'equazione è totalmente errata. Con questa curiosità concludo il mio discorso (anche se è solo una piccola parte di ciò che vorrei esprimere), spero vi abbia instillato dei dubbi piuttosto che avervi dato dei chiarimenti. Almeno la mia intenzione era questaSicuramente ci sono gli elementi per affermare che Libera sia un'associazione perlomeno un po' ambigua.

Non tutto ciò che brilla è oro, ma molto spesso ciò che puzza è merda...

Con amore e provocazione, con libertà e ironia
Joseph Brant

venerdì 9 aprile 2010

Non vi laverete la coscienza con questa conferenza!


[cuatorino.blogspot.com] Mentre le conseguenze dei tagli della 133 sono ormai sotto gli occhi di tutti, mentre i disastri del decreto Gelmini stanno per diventare effettivi, le autorità accademiche indicono una mega-conferenza d'ateneo, strutturata su tre giorni, per discutere le conseguenze della riforma e i nuovi assetti di unito.

Una riforma che, basandosi su pesanti tagli di fondi all’istruzione, determina il declassamento dei saperi e la riduzione dei servizi, rende sempre più precaria la condizione di vita e di studio per ricercatori e studenti, apre le porte all’ingresso dei privati nel cda dell’università, mantenendo però intatti i privilegi baronali.

Il  Rettore Pelizzetti, sicuro della tenuta del suo ateneo “meritevole” e incurante delle conseguenze che il ddl avrebbe avuto sul corpo vivo dell'università (studenti, ricercatori, precari della conoscenza, bibliocooperativisti),  non ha mai preso una posizione chiara e decisa contro la  riforma e non ha fatto altro che recepire acriticamente e supinamente le direttive del Ministro.

Da quando, dunque, il “Magnifico” ha  voglia di confrontarsi con le componenti dell'università?

Forse le mobilitazioni in atto e previste per settembre rischiano di far cadere il suo castello di carte, scombinando i suoi piani…

La conferenza indetta per oggi, infatti, ci sembra essere un tentativo di lavarsi le mani dalle responsabilità che i vertici accademici hanno nell'applicazione della riforma e dei tagli, dando una parvenza di dialogo con chi dovrà pagare le conseguenze della crisi di Unito. Potrebbe essere inoltre un tentativo per spegnere la protesta dei ricercatori, magari risolvendo con qualche palliativo la complessa questione che la loro mobilitazione sta portando agli occhi del paese.

Forse Pelizzetti inizia ad aver paura di non poter più dire che “va tutto bene” nel momento in cui, a settembre, la metà dei corsi non partirà per l'indisponibilità dei ricercatori a tenere corsi a 0 euro?

Forse inizia a rendersi conto che gli student* non tollereranno a lungo la sua gestione dell'ateneo, che vede accompagnarsi a un aumento esorbitante delle tasse la drastica diminuzione dei servizi? Forse ha capito che ci siamo accorti che le biblioteche hanno orari ridotti, le sessioni d'esame spariscono, i posti nelle residenze universitarie sono sempre più difficili da ottenere, e che tutto questo non ci va bene?

Forse gli è arrivata voce della nostra indisponibilità a rimanere precari a vita e a doverci indebitare per portare avanti il nostro percorso di studi?

Bene. Noi  non abbiamo intenzione di farci prendere in giro ancora a lungo.

I vertici accademici devono sapere che non esistono “percorsi di una riforma possibile”, perché sappiamo bene che i costi che ne derivano sarebbero tutti scaricati sulle nostre spalle, ma soprattutto perchè noi, i costi della loro crisi, non abbiamo più intenzione di pagarli!

Collettivo Universitario Autonomo

Ribadiamo il no alla riforma Gelmini!


In difesa dell'Universita' pubblica e del diritto allo studio. No al ddl Gelmini- No ai tagli

- Contro la politica dei tagli operati all'intero comparto della conoscenza (scuola, formazione, ricerca, università, formazione artistica e musicale), contro la  riforma antidemocratica del sistema universitario;
- Contro il DDL Gelmini, contro il cancellamento della terza fascia docente e l'istituzionalizzazione della precarietà nell'accesso al ruolo.

Il 9 aprile l'Amministrazione e Senato Accademico dell'Universita' di Torino indicono la prima di una serie di Conferenze di Ateneo per, così dichiarano, “aprire la discussione con il personale e gli studenti”. Questo mentre lo stesso Ateneo ha chiuso unilateralmente l'unico tavolo di confronto sulla precarietà con i sindacati e i coordinamenti dei precari e dei lavoratori esternalizzati (bibliotecooperativisti) e i rappresentanti degli studenti. Il tavolo di confronto deve essere riaperto!

Gli Atenei devono prendere una posizione netta contro l'intero DDL Gelmini, e rimettere in discussione i tagli del D. Lgs 133/2008 e 1/2009 opponendosi con ogni mezzo.

Il problema dei precari della ricerca e docenza ha superato ogni livello di guardia: ogni giorno decine di precari, essenziali per il prestigio dell'ateneo perdono il lavoro per la scadenza del contratto e vengono immessi in un mercato del lavoro asfittico e privo di prospettive. La precarietà non si limita a colpire la ricerca e la docenza dell'Ateneo: sono ancora troppi i precari tecnici ed amministrativi e i lavoratori esternalizzati. Sono proprio i bibliotecooperativisti le prime vittime dei tagli governativi ai bilanci delle Università.

Chiediamo a livello nazionale un piano di reclutamento straordinario dapprima, e ciclico e ordinario che entri poi a regime. Cosi' come e' necessario da subito a livello locale provvedimenti di emergenza per evitare l'allontanamento di migliaia di precari della ricerca e docenza e dei servizi dall'Universita' di Torino.

In difesa dell'Universita' pubblica e del diritto allo studio
Troviamoci a Palazzo Nuovo alle ore 12
per raggiungere il rettorato dell'Università degli Studi via Verdi, 8

giovedì 8 aprile 2010

Il nostro ricordo di Romano Alquati


Come studentesse e studenti universitari, abbiamo conosciuto la figura di Romano per lo più attraverso la lettura dei suoi testi, soprattutto nei nostri seminari di autoformazione. Chi incontra il suo pensiero, i suoi scritti, ne rimane profondamente segnato: per l'altezza delle sue intuizioni, per come non fornisca mai risposte preconfezionate e prestabilite, ma per come si sforzi (e ci sforzi) di costruire, con grande lucidità, delle domande per una lettura dell'esistente.

L'abbiamo visto emergere con forza soprattutto nel campo d'indagine e d'intervento politico a noi più vicino, quello dell'università, e più in generale in quello della formazione, che egli per primo aveva intuito come così centrale nella nostra società e nelle metamorfosi del capitalismo.

Spesso si sente dire, banalmente, che i suoi testi sono difficili ed incomprensibili, ma non può che essere un luogo comune, o se si preferisce, una scusante per non doversi confrontare con la complessità dei suoi ragionamenti. I suoi contributi sono invece estremamente stimolanti e hanno avuto la capacità di vedere più in là rispetto all'immediato presente. Si può avere, è vero, una qualche piccola difficoltà iniziale, che però si scioglie nel momento in cui si riesce ad entrare all'interno delle sue riflessioni, fatte di soggetti e termini nuovi. Questa è la grande forza dei suoi testi: li lasci con la sensazione di aver appreso qualcosa in più, di aver qualcosa su cui ragionare, da rielaborare e con cui osservare con uno sguardo maggiormente interrogativo e consapevole i processi e le trasformazioni che ti circondano.

Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo ci ha raccontato che è sempre stata una figura anomala, soprattutto all'interno dell'università. Non si è mai voluto adagiare alle logiche baronali, né tanto meno a quelle delle facili pubblicazioni. Ha sempre visto il suo lavoro in università come un lavoro alla pari di altri, tenendo sempre presente il suo essere un militante politico. È stato un professore capace, acuto, lucido, mai interessato alla carriera accademica e che mai ha smesso di sporcarsi le mani, un formatore nel senso migliore del termine.

Si potrebbero certamente dire molte altre cose su Romano, su quest'intellettuale politico (uno degli ultimi ancora degni di questo nome) straordinario, autenticamente contro-corrente, ma quello per cui noi vogliamo ringraziarlo di più è per averci offerto degli strumenti utili per leggere la realtà e quello che ci circonda.

Come universitar* e compagn*, la nostra volontà è ora quella di costruire presto un momento di discussione e di dibattito significativo sulla figura di Romano Alquati e su tutto quello che ci ha lasciato, proprio perchè è stata una delle figure più innovative che l'università di Torino ha avuto senza, probabilmente, averne mai colto e accettato l'importanza.

Ciao e grazie, Romano!
Continueremo a camminare con te per realizzare un sogno comune...

Collettivo Universitario Autonomo

Anche a Madrid: "Bologna burns!"


L'appello degli studenti e delle studentesse di Madrid

Traduzione a cura del Collettivo Universitario Autonomo di Torino

In Spagna sono stati forti i movimenti studenteschi che si sono condendati nella lotta per una università popolare e fuori dagli interessi di mercato. Durante l'anno scorso il movimento ha visto il suo apice maggiore: decine di facoltà occupate in tutto lo Stato, le strade delle città inondate da manifestazioni con migliaia di studenti, inchieste, azioni, dibattiti... il movimento ha fatto di tutti gli strumenti a sua disposizione per rendere visibile le sue domande. Però il governo del Partito socialista spagnolo ha risposto con polizia e repressione nei confronti degli studenti. Prova di ciò sono i 58 studenti catalani arrestati nello sgombero dell'Università di Barcellona che sono in attesa di essere processati.

Quest'anno, per poter costruire un controvertice a aprile si è creata a Madrid la piattaforma "Bologna Fucking Up Group", in contrapposizione al "Bologna Follow-Up Group", il gruppo di monitoraggio incaricato di valutare l'attuazione del processo di Bologna nei diversi Stati e indicare le nuove linee da seguire. La piattaforma riunisce sia le assemblee di studenti sia le organizzazioni studentesche che si oppongono al processo di mercificazione dell'università.

Studenti fuori dallo Stato spagnolo verranno a Madrid al controvertice. In questo modo come Bologna Fuckin Up Group vogliamo lanciare un appello internazionale a tutti gli studenti e attivisti che si oppongono al processo di Bologna e lottano per configurare un'alternativa reale. La loro falsa unità nel perseguimento di interessi e vantaggi per pochi non è paragonabile alla nostra unione che si compie attraverso la solidarietà della lotta. Ci siamo uniti a Vienna, uniamoci anche a Madrid.

per info sulla mobilitazione:

martedì 6 aprile 2010

Altro numero di BARAONDA!


Cercala negli spazi occupati di Palazzo Nuovo!
Sui tavoli delle aule studio e delle biblioteche universitarie!
Sulle panchine e sulle macchinette del caffè della tua facoltà!
Chiedi di lei, trovala, leggila, falla conoscere, facci sapere cosa ne pensi, collabora con noi!

per info: baraondatorino@gmail.com
prossima redazione di BARAONDA: prossimo 5 maggio allo spazio UniLotta alle ore 14:30, vieni!

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giovedì 1 aprile 2010

1 Aprile - Processo Rewind - A Torino dietro quello scudo c'eravamo tutt*!


[www.uniriot.org]
Il 6 luglio 2009 la procura di Torino, capitanata dal solerte procuratore generale Giancarlo Caselli, con l'operazione denominata "Rewind", ordina 21 mandati di carcerazione a carico di attivisti dell'onda studentesca di varie città italiane. Nel corso dell'inchiesta nell'autunno del 2009, si aggiungeranno all'elenco indagati altri attivisti padovani, torinesi, bolognesi e genovesi sottoposti a misure restrittive della libertà. Soltanto nel marzo del 2010 verranno revocate per quasi tutti le misure cautelari, mentre alcuni imputati sono tutt’ora sottoposti a misure restrittive.  Ciò che viene loro imputato è di aver preso parte alla grande mobilitazione del 19 maggio 2009 a Torino contro il G8 University Summit e agli scontri con le forze dell'ordine che presidiavano la zona rossa del vertice.

Ma in quella giornata eravamo in più di 10.000 tra studenti, dottorandi e precari dell'università a prendere la parola pubblicamente con un grande corteo per esprimere - ancora una volta dopo le mobilitazioni dell'autunno - la nostra indisponibilità al processo di dismissione dell'università pubblica e la nostra determinazione a costruire una università diversa attraverso le pratiche dell’auto-riforma e dell’auto-formazione. E non solo: quel giorno eravamo in migliaia a voler sancire come illegittimo ciò che si stava svolgendo all'interno di quella zona rossa che bene simboleggia l’intenzione di arginare il protagonismo del corpo vivo delle nostre università ed estrometterlo dai processi decisionali. La violazione di quella zona rossa voleva dire per noi dare simbolicamente visibilità all’intelligenza e ai desideri di migliaia di studenti e ricercatori che irrompendo nello spazio pubblico italiano hanno cominciato a costruire una nuova idea di università e di formazione. E così è stato, dietro a quello scudo a urlare di essere “l'anomalia del futuro” e ad impedire che del nostro futuro fosse impunemente deciso sopra le nostre teste eravamo insieme, tutti e tutte 10.000.

E come avrebbe potuto essere altrimenti dopo un autunno come quello dell'anno passato, durante il quale le partecipatissime mobilitazioni dell'onda avevano avuto una potenza tale da spazzare via le tremontiane retoriche degli “studenti fannulloni” per lasciare posto a migliaia di studenti che avevano invece intenzione di riprendersi la parola da protagonisti e di rovesciare le trasformazioni agite dal governo sull'intero mondo della formazione?

L’Onda Anomala ha mostrato a tutti la forza dirompente di una generazione post-ideologica capace di contestare i tagli alla ricerca e all’istruzione pubblica, di criticare i processi di riforma e riorganizzazione della formazione  messi in atto dal Bologna Process, e di costruire una mobilitazione diffusa e radicale tutta protesa in avanti, estranea a logiche nostalgiche e animata dalla volontà di costruire un progetto comune di altra-formazione.

L’Onda ha parlato di università, ha contestato i tagli voluti dal Governo, ha parlato di saperi critici, di autonomia dei percorsi formativi e di ricerca, ma ha anche saputo esprimere nelle università e nelle strade la rabbia di chi vive ormai da anni una condizione esistenziale di precarietà. Ha saputo parlare della società nel suo complesso, della crisi globale che investe l’economia e dei nuovi razzismi che le retoriche della sicurezza alimentano e diffondono. Non si è chiusa tra le mura degli atenei, ha sfondato definitivamente tutti gli argini di un anacronistico “studentismo” e ha posto tra le proprie priorità la battaglia per il reddito garantito e per un nuovo welfare. Tutto questo è stato costruito per mesi fuori dalle soffocanti retoriche dei partiti e dei sindacati della sinistra italiana, dimostrando la possibilità di fare movimento e di costruire rivendicazioni concrete e radicali all’interno di spazi comuni e attraverso reti sociali autonome e indipendenti dalla politica istituzionale.

Il carattere dirompente, eterogeneo e di massa, innovativo, radicale, non rappresentabile e non categorizzabile di questo movimento, aveva già avviato nell’autunno del 2008 il solito tentativo di trasformare un’espressione sociale e politica in un problema di ordine pubblico e l’operazione di Caselli non è nient’altro che il tentativo giustizialista, tipico della sinistra italiana, di criminalizzare e di legare al problema della “legalità” la costruzione di legittimi percorsi di lotta.

Dopo essere stati per mesi al centro del discorso mediatico infatti (basti ricordare lo spazio dedicato da Repubblica alle mobilitazioni dell’Onda), a seguito delle grandi giornate di Torino si è immediatamente palesata l'ambiguità e la funzionalità del monolite mass-mediatico: improvvisamente dalle colonne del Corriere della Sera e di Repubblica non si parlava più di un grande movimento contro l'abbattimento della formazione pubblica, ma di un'Onda bifida, composta da una parte buona e pacifica, la maggiore,e da uno sparuto gruppo di violenti e facinorosi che avrebbe guidato gli scontri del 19 maggio a Torino.

Questa teoria è servita anche a sorreggere l'operazione del procuratore Caselli, emblematicamente denominata “Rewind”, riavvolgere, per riscrivere funzionalmente, sulla nostra pelle, quanto era successo. Ma chiunque sia stato quel giorno a Torino sa come sono andate davvero le cose.

Non ci stupisce che questo tentativo di criminalizzazione di pochi per nascondere quella che è stata una conflittualità espressa collettivamente, provenga dagli stessi spalti di coloro che oggi dalle colonne degli stessi giornali sostengono il processo di abbattimento dell'università pubblica, accogliendo con plauso i violenti tagli alla formazione mascherati da distribuzione “differenziata” dei fondi secondo criteri “meritocratici”.

Quella di Rewind è chiaramente un operazione tutta politica. All’interno ci possiamo leggere l’atteggiamento da sempre assunto dalla sinistra italiana: complicità assoluta nel governare i processi di ristrutturazione capitalistica degli ultimi 30 anni, coinvolgimento attivo a livello nazionale e locale nell’organizzazione delle politiche di controllo sociale e un interesse sempre vivo ad arginare e colpire a ogni costo i movimenti sociali e le rivendicazioni di chi parla oggi di libertà, di auto-determinazione, di reddito e di nuovi diritti.

L’11 marzo il p.m. Sparagna ha chiesto, durante la prima udienza del processo, fino a due anni di carcere per gli imputati del processo Rewind. Noi rispondiamo a questo tentativo rozzo e mal costruito di criminalizzazione raccogliendo e valorizzando ciò che il movimento dell’Onda ha depositato e ne sfrutteremo tutta la potenza innovatrice convinti dell’assoluta legittimità dei nostri progetti. Lo faremo dentro e fuori dalle Università, senza paura e rimandando al mittente il tentativo di intimidazione con cui tenta di colpirci la procura di Torino.

UniRiot Network

Università, precari della cattedra a centinaia resteranno a spasso


[www.repubblica.it]
Sono docenti a tutti gli effetti, ma invisibili e "non strutturati". Con i tagli l'unica alternativa che avranno sarà insegnare gratis

di Laura Montanari

Centinaia di docenti a contratto resteranno senza un corso o saranno "costretti" a insegnare gratis. Alcuni del resto già lo fanno. Sono i precari della cattedra, quelli che da anni vengono spremuti dalle università italiane, tenuti a far lezione anche a cento o duecento allievi per volta, quelli che fanno ricevimento studenti, seguono le tesi, assistono agli esami, danno i voti. Docenti a tutti gli effetti eppure invisibili, "non strutturati": i loro nomi non si trovano né fra i ricercatori, né fra gli associati, né fra gli ordinari. Non hanno alcuna rappresentanza nelle facoltà, né negli organi di governo delle università. Sono esterni, cattedre low cost, in genere freschi di studio, aggiornati e qualificati. Molti hanno già avuto assegni di ricerca e borse di studio e vengono "parcheggiati" nella docenza più precaria che esista perché in questo modo le accademie possono continuare ad assicurare corsi a costo zero o a compensi irrisori. Dal loro canto, alcuni accettano lo stesso questi contratti capestro per proseguire il lavoro nel mondo accademico e sperando che prima o poi le università riaprano il reclutamento. Il fatto è che sono tanti, anzi tantissimi se in questa categoria di precari si includono anche assegnisti e contrattisti "costretti" pure loro a insegnare gratis. L'ultima rilevazione statistica del ministero è del 2008 e ne contava circa 38mila.

Per anni gli atenei hanno pescato da questo serbatoio per creare nuovi corsi e ampliare l'offerta formativa. Di recente è entrata in vigore una norma che impone che i corsi di laurea debbano essere tenuti almeno per il 50% da docenti strutturati (cioè ordinari, associati o ricercatori). Con la stretta finanziaria del governo sulle risorse alle università, i docenti a contratto sono i primi "esuberi" ad essere tagliati. Siccome però gli insegnamenti che coprono sono numerosi, gli atenei trovano una via di fuga offrendo la docenza gratuita oppure offrendo compensi risicati e diversi da ateneo ad ateneo, o da facoltà a facoltà: da zero a mille o duemila euro l'anno.

"Per uno che rifiuta c'è la fila comunque fuori dalla porta" racconta un professore dell'università la Sapienza. E' così che con la crisi finanziaria, avanza questa figura atipica, questa specie di "volontariato" della cattedra. "Anche in passato c'erano università che ci proponevano corsi a stipendio zero", spiega un ricercatore dell'università di Firenze.

Il fenomeno è in ulteriore crescita. A Pisa è partita la campagna "Gratis io non lavoro" che è un invito a rifiutare di tenere insegnamenti senza ricevere in cambio alcun compenso. Ma corsi non retribuiti si incontrano in diverse università: Napoli, Palermo, Siena, Cassino, Pisa, Firenze, Roma. "Siamo noi il vero tesoretto degli atenei - spiega Ilaria Agostini, del Coordinamento nazionale ricercatori precari della Cgil - negli ultimi sei anni io ho firmato 15 contratti con le università di Perugia, Ginevra e Firenze. Quest'anno ho detto basta, non ci sto: Firenze mi ha chiesto di salire in cattedra gratuitamente, prima mi pagavano tre euro lorde l'ora adesso zero, non è nemmeno un contratto di lavoro è una carta dove ci sono soltanto doveri e un unico diritto, quello di avere una casella di posta elettronica targata unifi".

Non tutti rifiutano: "Io ho accettato - spiega Stefano Follesa, che tiene un corso di Arredamento per 120 allievi all'università di Firenze - ho una borsa di dottorato, faccio ricerca, insegno retribuito in un istituto privato. Certo che non è giusto che le università ci chiedano di insegnare gratis, ma per poter modificare questo sistema bisogna viverci dentro e lottare per cambiare le regole".