mercoledì 19 maggio 2010

L’occupazione del Rettorato prosegue. E questo è solo l’inizio...


Prosegue l’occupazione del Rettorato dell’Ateneo torinese da parte degli studenti e dei ricercatori universitari. Nel corso della giornata di mercoledì si sono tenute assemblee, momenti formativi e volantinaggi in varie parti della città.

Stiamo presidiando il Rettorato in opposizione ai tagli economici e ai disegni di riforma (DDL 1905) del duo Gelmini-Tremonti. Governo e opposizione stanno varando un’idea di università “aziendale”, al servizio di interessi privati. Un’idea molto lontana dal carattere di “bene sociale comune” che dovrebbe contraddistinguere l’Istruzione Pubblica.

Una mobilitazione nazionale che vede la nostra città come protagonista: i numeri della partecipazione torinese e la sua radicalità non trovano eguali – per ora – in nessun altro ateneo italiano. Oggi possiamo dirlo: Torino è indisponibile!

Nelle prossime giornate una varietà di appuntamenti si alterneranno nel cortile del Rettorato (programma in “eventi”) : seminari, dibattiti, cineforum e assemblee per dimostrare il ruolo centrale della cultura, a dispetto di chi vuole un paese istruito a suon di “Porta a Porta” e reality shows.

Incontreremo alcuni sindacalisti della FIOM – Torino, perchè non si può parlare di formazione senza parlare di lavoro. Saremo coi lavoratori del Teatro Regio che manifestano contro il nuovo decreto Bondi, foriero di tagli, licenziamenti e dequalificazione dell’offerta culturale pubblica.

Durante la settimana proseguiranno i momenti di protesta con azioni di flash-mob e volantinaggi in diverse parti della città, nelle facoltà e nelle sale studio. Sabato 22 ci uniremo al grande corteo unitario indetto dal Tavolo della Formazione, a cui parteciperanno tutti i soggetti della pubblica istruzione, dalla scuola elementare all’università.

Tutto il mondo dell’università è chiamato a raccolta SABATO alle 14 NEL RETTORATO OCCUPATO, per unirci al corteo che partirà da Palazzo Nuovo alle 15. Tutte le mattine alle 10 COORDINAMENTO AZIONI. Tutte le sere alle 19.30 ASSEMBLEA! Siete tutti invitati a partecipare

STUDENTI NEL RETTORATO

lunedì 17 maggio 2010

Mobilitazione contro il Ddl 1905 "Gelmini" sulla riforma dell’Università


Tutta l’università si mobilita per dire NO:

- a tagli che comprometteranno fortemente il diritto allo studio, la qualità di didattica e ricerca e la sicurezza lavorativa di precari ed esternalizzati;

- all’aumento della contribuzione studentesca per coprire i tagli;

- all’emarginazione della ricerca dalle funzioni fondanti delle Università;

- alla deriva aziendalistica e dirigistica delle Università;

- alla marginalizzazione dei ricercatori attuali;

- alla progressiva estensione della precarizzazione della ricerca e della didattica, attualmente già a livelli drammatici.

Si associano nella protesta studenti, ricercatori, professori, precari della ricerca e della didattica ed il personale tecnico amministrativo, sia interno sia esternalizzato: tutti fortemente preoccupati per il futuro, ritengono che l'Università vada riformata ma non a discapito della sua natura pubblica e del rispetto di chi, da anni, lavora al suo interno, anche con forme contrattuali atipiche e prive di tutele.

Per opporsi a questo disegno di legge i ricercatori hanno annunciato la loro indisponibilità a svolgere attività didattica (non obbligatoria per legge): il prossimo anno accademico è quindi seriamente a rischio.

Invitiamo tutti a supportare la protesta aderendo alla Settimana di mobilitazione dal 17 al 22 maggio con la sospensione di tutte le attività didattiche (lezioni, esami, ricevimenti) e la partecipazione alle assemblee pubbliche:

    • Giovedì 13 maggio ore 9,15 in Rettorato: Assemblea del personale tecnico amministrativo indetta dalle rappresentanze sindacali;
    • Martedì 18 maggio: Giornata nazionale di mobilitazione con occupazione simbolica del Rettorato. Ritrovo ore 14.00 davanti a Palazzo Nuovo per poi muoversi in corteo fino al Rettorato;
    • Mercoledì 19 maggio: Manifestazione nazionale a Roma davanti al Parlamento;
    • Sabato 22 maggio: Manifestazione cittadina di Università e scuole elementari, medie e superiori.

    martedì 11 maggio 2010

    Assemblea generale d'Ateneo

    martedì 11 maggio - ore 14
    Aula Magna Primo Levi (via Pietro Giuria 7)


    Assemblea Generale d'Ateneo indetta dai ricercatori aperta a tutte le componenti dell'Università in cui si discuterà:

    - la situazione attuale e le prospettive della protesta a livello locale e nazionale,

    - le richieste da portare al ministero,

    - le iniziative di supporto da intraprendere nei prossimi giorni e il coordinamento tra le varie componenti universitarie

    Di seguito ecco l'appello per l'assemblea :

    Carissim*,

    come saprete, il DdL Gelmini e i tagli al fondo di funzionamento dell'Universita' minacciano di creare una situazione insostenibile per l'Universita' pubblica e in
    particolar modo per i ricercatori.

    In risposta a questa situazione, a partire da febbraio molti ricercatori di Torino hanno deciso di dichiarare l'indisponibilita' a ricoprire incarichi didattici non obbligatori per legge. Questa forma di protesta e' ormai ampiamente diffusa a livello nazionale in piu' di 30 atenei (compresi tutti i piu' grandi), come potete verificare sul sito wpage.unina.it/apezzell/sito/unidoc/index.html.

    A Torino l'adesione alla protesta e' stata manifestata dai colleghi delle facolta' di Agraria, Economia. Farmacia, Lettere e Filosofia, Lingue, Psicologia, Scienze della Formazione, Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, Scienze Politiche e Veterinaria. Attualmente coinvolge piu' di 450 ricercatori sui 900 totali.

    Le richieste dei ricercatori sono state delineate il 29 aprile in un'assemblea nazionale a Milano che ha visto la partecipazione di piu' di 200 delegati provenienti da 35 universita', e si e' conclusa con l'approvazione di un documento (in calce e in allegato) in cui trovate un elenco dei punti critici sollevati e le richieste dei ricercatori indisponibili.

    Il DdL Gelmini, nel quale sono contenute le varie norme lesive per l'Universita' pubblica e in particolar modo per i ricercatori strutturati e precari, e' in fase di discussione al Senato e presto approdera' alla Camera: in quella sede ci sara' l'ultima occasione per ottenere modifiche sostanziali, prima di dover mettere in atto l'annunciata indisponibilita'.

    Ad oggi sono in corso da parte del Ministero prese di contatto con vari esponenti del movimento dei ricercatori, finalizzate a creare le condizioni per una trattativa diretta ministero-ricercatori indisponibili sulla base del documento di Milano.

    Per dare forza alle richieste dei ricercatori, tutte le associazioni sindacali e della docenza hanno indetto una settimana di mobilitazione unitaria (in allegato) per lasettimana del 17 al 22 maggio, alla quale i ricercatori torinesi riuniti in assemblea hanno deciso di partecipare astenendosi da tutta l'attivita' didattica (corsi ed esami) e organizzando iniziative per informare gli studenti e l'opinione pubblica sul grave pericolo che incombe sugli Atenei italiani.

    Per avere l'opportunita' di discutere ed informarsi sulla situazione attuale e le prospettive future vi invitiamo ad intervenire ad una

    ASSEMBLEA GENERALE - Martedi' 11 Maggio, ore 14:00 presso
    l'Aula Magna Primo Levi, via Giuria 7

    aperta a *tutte* le componenti dell'Universita', nel quale verra' discussa la situazione attuale e le prospettive della protesta a livello locale e nazionale, le richieste da portare al ministero, le iniziative di supporto da intraprendere nei prossimi giorni e il coordinamento tra le varie componenti universitarie.

    Sperando di vedervi numerosi, un caro saluto
    Alessandro Ferretti per il Coordinamento Ricercatori UniTo

    Assemblea pubblica No Gelmini

    giovedì 6 maggio 2010

    6-7 Maggio 2010: Bologna Calls, meeting transnazionale contro il Bologna Process


    [www.uniriot.org] Perché un meeting a Bologna dieci anni dopo il "Bologna Process"? Il meeting del 6 e 7 maggio 2010 si propone di connettere le lotte a livello transnazionale, nella costruzione di un'altra università.

    Nel corso degli ultimi anni le lotte universitarie si sono estese in tutta Europa, opponendosi in maniera decisa alle ultime riforme. Noi studenti, ricercatori e precari di tutte le università europee ci siamo schierati contro la privatizzazione dell'Università e contro un sistema formativo di bassa qualità, reclamando potere decisionale per la nostra formazione e le nostre vite.

    Il contro-summit “Bologna Burns”, convocato a Vienna lo scorso marzo, è stato un momento molto importante per tutti coloro che stanno lottando contro il Bologna Process. Nel corso di questo meeting abbiamo incontrato centinaia di studenti da tutta Europa, interrotto la conferenza dei ministri, condiviso le nostre esperienze di lotta e deciso di creare un network transnazionale per continuare ad opporci al Bologna Process, per trasformare collettivamente e dal basso il nostro sistema formativo creando una nuova università frutto delle nostre lotte e dei nostri desideri.

    Questo è il motivo per cui convochiamo il meeting di Bologna, e invitiamo tutti voi qui il 6 e 7 Maggio.

    Bologna rappresenta da un lato la città nella quale i ministri europei hanno dichiarato guerra all'università pubblica, il simbolo della gerarchizzazione e dello sfruttamento del sistema formativo.

    Ma Bologna è molto di più. Infatti l'università e la città di Bologna hanno visto studenti e precari lottare con forza -così come in molte altre università italiane- contro questo sistema di riforme; lo scorso anno abbiamo costruito e preso parte al movimento dell'Onda Anomala e oggi, ancora una volta, proviamo ad avere uno spazio di resistenza al Bologna Process.

    Vogliamo creare un network di lotte per una formazione diversa, rivendicando il diritto a dei saperi plurali, autonomi, che si producono nella relazione, mettendo in comune conoscenze, pratiche e desideri. Pensiamo possa essere davvero importante incontrarsi a Bologna oggi, per capovolgere il significato del Bologna Process.

    Dieci anni fa ha avuto inizio il processo di privatizzazione e standardizzazione delle università europee, possiamo dire che questi processi sono completamente falliti, perché NOI li abbiamo fatti fallire. Dieci anni dopo NOI abbiamo la possibilità di istituire un nuovo processo di Bologna fatto di lotte e movimenti che mirino alla liberazione della produzione e alla condivisione dei saperi, che spinga gli studenti, così come i ricercatori e i precari di tutta Europa a lottare per ottenere più diritti.


    Il nostro meeting a Bologna nasce anche come risposta ai precedenti incontri di Madrid, Barcellona, Parigi, Londra, e in vista del grande meeting di Bochum.

    Incontrarsi oggi vuol dire anche fare un ulteriore passo in avanti nella nostra auto-organizzazione.

    A Bologna riprenderemo i diversi punti emersi dal “common paper” nato a Vienna, quali: il sabotaggio dei processi di privatizzazione e il sistema delle tasse, la condivisione di saperi differenti, un sistema democratico e una forma di auto-organizzazione all'interno dell'università, e più in generale come creare e rafforzare pratiche e istanze comuni.

    A tale scopo proponiamo un seminario, due workshop tematici e un'assemblea plenaria come spazi nei quali discutere le nostre istanze partendo da molteplici punti di vista.

    Ci auguriamo che in molti verrete a Bologna per condividere insieme questi momenti.

    Costruiamo una nuova università! Facciamolo ora!

    PROGRAMMA

    Giovedì 6 Maggio - Aula 3 (Via Zamboni 38)
    h. 9.30: Introduzione - Uniriot network
    h. 10-13.30: Conferenza
    "Il Bologna Process nella doppia crisi: produzione dei saperi e movimenti nell'Università globale”
    Introduzione: Gigi Roggero (edu-factory collective - Università di Bologna)
    Relatori: Martin Birkner (Grundrisse Vienna); Joan Miquel Gual (Universidad Nómada - Exit Barcelona); Alexei Penzin (Chto Delat - Institute of Philosophy of the Russian Academy of Sciences of Moscow); Patrick Cuninghame (Universidad autonoma metropolitana, Città del Messico).
    h. 15-19: Make Bologna History!
    Workshops:
    "Conoscenza, didattica e ricerca"
    "Precarietà, sfruttamento e mercato della formazione"

    Venerdì 7 Maggio - Aula 3 (Via Zamboni 38)

    h. 10-14: Assemblea Plenaria
    Durante il meeting ci sarà una connessione via skype con gli studenti di Bochum che stanno organizzando l' “Education European Congress”.

    martedì 4 maggio 2010

    Università, una settimana di blocco I ricercatori: "Per noi nessun futuro"


    [www.repubblica.it] Dal 17 al 22 maggio è previsto uno stop della didattica in tutti gli atenei italiani. Il 19 una manifestazione davanti al Parlamento 

    di Manuel Massimo

    Un fatto è certo: se i ricercatori decideranno di non salire in cattedra molti corsi di laurea non potranno partire per mancanza dei requisiti minimi di docenza. L'offerta formativa del prossimo anno accademico è dunque legata a doppio filo alla piega che prenderà il disegno di legge Gelmini sull'Università, ora all'esame della Commissione Istruzione del Senato. La principale questione che tiene banco - completamente bypassata dal ddl e non proposta neanche in uno degli 800 emendamenti presentati - riguarda la figura del ricercatore universitario cui non viene riconosciuto lo status giuridico di docente, nonostante siano proprio i ricercatori a ricoprire attualmente il 40% della didattica ufficiale.

    La mobilitazione. L'assemblea dei ricercatori del 29 aprile a Milano, con delegazioni da 32 atenei italiani, ha confermato la settimana di mobilitazione dal 17 al 22 maggio, con blocco della didattica, occupazione simbolica degli atenei il 18 e manifestazione nazionale davanti al Parlamento mercoledì 19. Se il disegno di legge dovesse passare senza modifiche sostanziali, l'assemblea ha inoltre ribadito "l'indisponibilità a tutte le forme di didattica frontale non obbligatoria richiamando formalmente i nuclei di valutazione a non considerare i ricercatori per la formulazione dell'offerta formativa 2010/2011".

    Il documento. Al termine dell'assemblea è stata approvata una mozione unitaria in cui si esprime "forte preoccupazione" per i contenuti del ddl, in particolare per "la precarizzazione della ricerca" e per "la deriva aziendalistica e dirigistica delle università". I punti più "caldi" che sono stati discussi riguardano la riorganizzazione delle fasce di docenza e le progressioni di carriera, senza dimenticare l'inquadramento della nuovissima figura pre-ruolo introdotta dal ddl, quella del "ricercatore a tempo determinato" che dura al massimo 6 anni (3+3).

    Tenure track. Un tema strettamente connesso alla figura del ricercatore a tempo determinato è quello della cosiddetta tenure track, ovvero il percorso certo dell'immissione in ruolo. Una certezza in realtà molto aleatoria: in base al ddl, trascorsi i due trienni previsti e ottenuta l'abilitazione, gli atenei "possono procedere" alla loro chiamata diretta con funzioni di professore associato. Ma senza l'assegnazione di risorse specifiche e  in mancanza di un'adeguata programmazione negli anni la stabilizzazione resta legata a mere ragioni di budget. In un sistema, peraltro, già sottofinanziato.

    Senza status. La riforma Gelmini articola la docenza in due fasce (ordinari e associati) e non prevede che i ricercatori abbiano lo status di "docenti". Secondo il coordinatore del Cnru (Coordinamento nazionale ricercatori universitari) Marco Merafina si tratta di un'evidente disparità: "Vogliamo una rimodulazione delle fasce di docenza verso una piramide effettiva, non con una larghissima base fatta di precari. Per questo dove sussistano i requisiti di didattica e ricerca chiediamo che i ricercatori siano inquadrati come docenti di seconda fascia cioè associati, senza oneri per lo Stato".

    Ruolo unico. Di tutt'altro avviso è Alessandro Ferretti, ricercatore del Dipartimento di Fisica sperimentale dell'Università di Torino e portavoce del Coordinamento UniTo: "Chiediamo un ruolo unico della docenza che non implichi una subordinazione gerarchica all'interno dell'ateneo. Se i ricercatori dovessero diventare professori associati 'ope legis' sarebbe disastroso soprattutto per i giovani precari della ricerca: il ruolo verrebbe saturato e l'università non assumerebbe più nessuno". E aggiunge: "Una cosa è certa: non ci interessa fare i professori ordinari tra le macerie, senza un'università pubblica che funzioni".

    Il dialogo necessario. I nodi da sciogliere e gli aspetti da limare sono molteplici e - in vista della votazione in aula a Palazzo Madama (prevista per il 18 maggio) - si moltiplicano le richieste di incontri e chiarimenti. Si profila un tavolo tecnico al ministero dell'Università che coinvolga tutte le componenti interessate, per affrontare le questioni più spinose.

    Anno accademico corsi a rischio


    [www.lastampa.it/torino]
    L'Università: senza ricercatori pronti a fermarci

    di Andrea Rossi


    Caro ministro, in queste condizioni esiste il concreto rischio che il prossimo anno accademico non possa cominciare». Forse toni e sfumature non saranno questi. Forse il concetto sarà più articolato, denso di riferimenti. Ma il senso è chiaro, netto: se le premesse sono queste l’Università di Torino l’anno prossimo potrebbe non essere in condizione di far partire i corsi. È la prima volta che succede. Ed è la prima volta che il Senato accademico dà mandato al rettore di minacciare l’interruzione di corsi, esami e lezioni.

    Nessun ateneo italiano - nonostante le difficoltà siano uguali per tutti - aveva finora compiuto questo passo. Ieri l’ha fatto Torino, mossa che è l’immagine plastica di un’università che vive in apnea, decisa ieri sera dal Senato al termine di una seduta tesa, con circa 200 tra ricercatori e studenti in presidio, una breve irruzione, e qualche parola al vetriolo tra il rettore Ezio Pelizzetti e alcuni studenti. Il rettore lo va dicendo da almeno un paio d’anni, quando la scure dei tagli ha cominciato a farsi pesante: «Siamo l’ateneo più sottofinanziato d’Italia». Non basta: da qualche settimana in via Po il clima è ulteriormente peggiorato. Colpa della nuova mannaia che colpirà il Fondo di funzionamento ordinario nel 2011. E del disegno di legge Gelmini, ora all’esame del Parlamento che - tra le tante norme contestate dal mondo accademico - istituisce la figura del ricercatore a tempo determinato, novità che ha fatto montare su tutte le furie gli oltre 900 ricercatori dell’università.

    Più della metà ha già deciso - e messo a verbale in Consiglio di facoltà - che dall’anno prossimo rinuncerà alla didattica, si occuperà soltanto di ricerca, «come prevede la legge». Molti Consigli di facoltà hanno sostenuto una protesta che sta dilagando in tutta Italia. Le facoltà che ancora non si sono pronunciate si preparano a fare altrettanto. Risultato? Visto che i ricercatori, oltre a occuparsi di ricerca, tengono molti corsi, spesso fondamentali, senza di loro le facoltà non sono in grado di garantire l’offerta formativa ai loro studenti. Alberto Conte, preside della facoltà di Scienze e presidente della commissione Organico d’ateneo, è stato chiaro fin dall’inizio della mobilitazione: «Senza ricercatori non possiamo garantire il funzionamento delle facoltà».

    La protesta, divampata tre mesi fa proprio a Scienze, ieri è arrivata in Senato, spinta dal coordinamento dei ricercatori, dai rappresentanti degli studenti e da alcuni presidi e senatori. E, dopo una lunga discussione, è stato approvato il testo presentato dai ricercatori. «Si doveva intervenire due mesi fa, perché la nostra mobilitazione è partita da tempo e il ddl è già in discussione in Parlamento», spiega Alessandro Ferretti, ricercatore a Fisica. «Ora siamo quasi agli sgoccioli, ma il segnale del Senato è comunque importante». «Era giusto che si seguisse questo percorso per gradi - precisa Conte - dalle singole facoltà al Senato».

    Adesso tocca al rettore Pelizzetti. Ma il mandato del Senato sembra chiaro: con almeno 450 ricercatori sulle barricate e i tagli in arrivo non si può più andare avanti.

    Spazio occupato, il Fuan è cacciato!


    A seguito della mobilitazione di decine di studenti oggi è stato occupato uno spazio al piano terra di Palazzo Nuovo. Questo spazio, probabilmente a causa di pressioni provenienti dal Consiglio Regionale, avrebbe dovuto essere assegnato dall’università al Fuan (nota organizzazione di estrema destra oggi interna al Pdl) in vista delle elezioni nazionali del CNSU. Come studenti di Palazzo Nuovo crediamo che la gestione degli spazi che vengono assegnati ai collettivi e alle associazioni che realmente sono presenti e fanno politica all’interno dell’università non possa essere ostaggio di raccomandazioni fatte da pseudo cariche istituzionali. Crediamo, inoltre, che la situazione di militarizzazione che si è venuta a creare all’interno dell’università oggi (un centinaio tra poliziotti in borghese e reparti antisommossa schierati in ogni angolo dell’atrio) sia uno spettacolo indegno per chi come noi pensa che l’università debba essere uno spazio per il libero scambio di conoscenze e produzione di saperi critici e non una vetrina dove farsi pubblicità. Al Fuan, che si presenta nelle sedi universitarie solo durante i periodi di campagna elettorale e che sostiene la scellerata riforma voluta dal Governo che taglia i fondi all’università lasciandola in una situazione drammatica, consigliamo di cercare altre strade. L’università è di chi la vive quotidianamente e lotta per la sua difesa. Tutti gli altri sono avvoltoi.

    Studenti e studentesse antifascist*

    lunedì 3 maggio 2010

    Unito, l'università è in crisi!


    [www.infoaut.org]
    La protesta contro la riforma Gelmini all'università di Torino continua! Ricercatori studenti e precari ottengono una presa di posizione ufficiale del senato accademico!

    Un nutrito presidio ha quest'oggi ottenuto che il senato accademico approvasse alcune delle rivendicazioni portate da ricercatori, precari e studenti. Non tutto è stato facile e scontato: il senato accademico, da sempre incline a evadere le istanze spinte dal basso, ha inizialmente cercato di procrastinare e relegare a margine la discussione sui punti all'ordine del giorno riguardanti la protesta no Gelmini. I presidianti non si sono fatti però cogliere impreparati: hanno deciso di bloccare la seduta del senato e, mettendo alle strette il rettore Pelizzetti, hanno ottenuto precise garanzie che fosse discusso quanto richiesto il prima possibile.

    Alla fine della giornata si può parlare di risultato raggiunto, sebbene ancora in parte. Il senato accademico ha approvato una mozione fortemente critica sul ddl Gelmini e il rettore comunicherà al ministero dell'università e della ricerca che esistono concrete possibilità che il prossimo anno accademico non possa iniziare! Insoddisfacente invece la risposta per quanto riguarda la norma, interna all'ateneo torinese, per cui i ricercatori avrebbero l'obbligo di svolgere almeno 60 ore di didattica, che si vorrebbe far ritirare, rimandata ad una successiva commissione.

    Tutta la giornata è da leggersi nel quadro della protesta che i ricercatori strutturati (sostenuti anche dai ricercatori precari e dagli studenti) stanno portando avanti. Se anche queste ore obbligatorie fossero abolite allora la protesta basata sull'indisponibilità all'attività didattica non obbligatoria avrebbe effetti ancora più forti. L'obiettivo è sempre far ritirare il ddl Gelmini, la lotta non finisce certo oggi!

    Oltre all'indisponibilità che sempre più si diffonde, nel mese di maggio si avranno altre importanti iniziative come la settimana di agitazione tra il 17 ed il 22: in alcune facoltà torinesi (di fatto) sarà bloccata ogni attività didattica, durante la quale si espliciterà ancora l'agitazione tramite azioni e assemblee...!

    sabato 1 maggio 2010

    L'opposizione sociale non si accontenta!


    [www.infoaut.org]
    Migliaia in piazza autorganizzati. La polizia arresta un manifestate in coda del corteo.

    Migliaia di persone in piazza dentro le spezzone dell'opposizione sociale oggi al primo maggio torinese. Nonostante le previsioni, il tempo ha tenuto e il corteo si è dunque dispiegato in un tragitto differito, partendo prima di piazza vittorio dal lungoPo dei Murazzi perché la questura non aveva concesso la tradizionale conclusione in piazza San Carlo per via delle grossa presenza di pellegrini che domani accoglieranno il Papa.

    Il corteo dell'opposizione sociale raccoglieva tutte le realtà dell'autorganizzazione che hanno sottoscritto l'appello girato in rete nei giorni scorsi: centri sociali, realtà autorganizzate del lavoro e del territorio, sindacati di base, collettivi studenteschi e universitari. Molti i punti su cui è andato a battere il corteo: contro crisi, distruzione dello stato sociale, rivendicazione di reddito, contro le politiche familiste e anti-femminili, contro la speculazione immobiliare e per il diritto all'abitare, per l'autorganizzazione e i percorsi di lotta dal basso.

    Si apriva con una rappresentazione di Piero Gilardi fatta per il coordinamento Alato, rappresentante l'Impero dei Berlusconi-LegaNord-Sacconi e Tremonti, e vedeva in seguito raccolti il network antagonista torinese (quasi 1000 persone), il collettivo del Politecnico, lo spezzone migrante e del mondo della formazione. I soggetti che non intendono pagare la crisi né credono più nella politica della rappresentanza e della mediazione istituzionale.

    Arrivato in piazza Castello, il corteo dell'opposizione sociale - più di 2000 persone - ha proseguito il proprio percorso per smarcarsi dalle pratiche e le compatibilità dei partiti e dei sindacati concertativi, continuando il proprio percorso. Prima sosta al Comune, dove sono state attaccate al balcone alcune bandiere dei movimenti notav, autonomi e due striscioni che ricordavano a Chiamparino di lasciar stare Radio Blackout, oltreché accusarlo di essere servo delle banche. Uno slogan ha accompagnato l'azione: "Chiamparino spegni la tv, accendi Blackout e non parlare più!".

    Il corteo si è infine chiuso in piazza della Repubblica, meglio nota come Porta Palazzo, piazza ad alta densità migrante, in continuità col percorso migrante sorto a ridosso dello sciopero del 1° marzo. Significativa la loro presenza dietro uno striscione che richiamava il loro specifico percorso di autorganizzazione. Ma la manifestazione si è infondo conclusa solo al csoa Askatasuna con la consueta grigliata e festa nel giardino.

    L'unico neo della giornata, il comportamento della questura contro lo spezzone anticlericale, raggruppatosi dietro la Federazione della Sinistra: all'imbocco di piazza castello un cordone di carabinieri tenta di impedire al suddetto spezzone di entrare in piazza. Ne nasce un parapiglia tra manifestanti e forze dell'ordine e alla fine la polizia si ritira. Nei tafferugli uno sbirro finisce a terra colpito in testa da  un'ombrellata e viene portato via a braccia dai colleghi. Pochi minuti dopo, a pochi isolati dal corteo, un compagno viene fermato e portato in questura per accertamenti. Verso le tre di pomeriggio arriva la notizia che il compagno è stato arrestato probabilmente con l'accusa di resistenza e lesioni e portato al carcere delle Vallette, a Torino.

    Per il resto la giornata è stata caratterizzata da una forte presenza di giovani e giovanissimi raggruppato dentro lo spezzone sociale, in evidente distanza dal corteo sindacale concertativo e para-istituzionale.

    L'unica (in)credibile opposizione


    (Quello che segue è l'editoriale dello Spazi Sociali appositamente redatto per questo 1° Maggio 2010 che verrà distribuito questa mattina in piazza a Torino).

    Scendiamo in piazza per un 1°Maggio di opposizione sociale. Contro la casta dei partiti e i padroni della crisi, l’unica (in)credibile opposizione!

    La crisi è sempre più profonda e capillare ma l’unica cosa che governanti e opposizione sanno è che non sarà breve e che qualcuno dovrà pur pagarne i costi mentre Confindustria (autentica padrona del campo) detta le regole da applicare ad una serie di riforme tese a riorganizzare il campo sociale a suo uso e consumo.

    Con la riforma Gelmini si vuole destrutturare qualsiasi funzione formativa dell’istituzione-scuola per ridurla a pura agenzia di disciplinamento di futura forza lavoro da impiegare poi - educata a pretendere poco e flessibilizzarsi molto- dentro il quadro normativo del contratto individuale tra singolo lavoratore/trice spossessato di forza e diritti e un padronato sempre più arrogante e impunito, che non disdegna il lavoro migrante purché ricattato e malpagato, usandolo anzi come arma di ricatto e divisione con i lavoratori “nazionali”.

    Un’idea coerente e (capitalisticamente) produttiva circa il destino dei governati, un programma di vita che ci accompagna dalla culla alla bara, delegando proprio il lavoro di cura dei momenti iniziali e finali delle nostre esistenze alle badanti immigrate, surrogato servile di un welfare smantellato pezzo per pezzo.

    In mezzo, la distruzione dell’unità sindacale e la creazione a lungo perseguita di un individuo sociale atomizzato, privo di legami collettivi, egoista e timoroso, capace di riconoscersi solo nel gesto isolato del consumo.

    Se questo è il quadro complessivo, bisogna allora saper tirare le fila del discorso e rendersi conto che l’attuale classe politica e sindacale (laddove ancora gli si voglia concedere una buona fede) è totalmente inatrezzata a fronteggiare le sfide che ci troviamo di fronte, incapace di parlare a chicchesia o rappresentare alcunché.

    Ad un’offensiva tanto forte e spudorata, le uniche risposte all’altezza sono quelle del conflitto e dell’autorganizzazione, facendo a meno dei mediatori del sociale e dei professionisti del pompieraggio; ricostruendo rete sociale, mutuo soccorso e capacità offensiva. Perché non c’è altra opposizione possibile dell’opposizione sociale, quella costruita dal basso e in prima persona. Sembrerebbe un’ovvietà ma val la pena ribadirla, perché non sempre ci sono orecchie per intendere.

    Eppure dati e risultati delle utime elezioni ci danno ragione: finalmente l’astensionismo è il primo partito anche in Italia, la casta politica il mestiere socialmente più disprezzato e i programi dei partiti quanto di più di distante dai bisogni della maggioranza della popolazione.

    Bi-polarismo, ritorno al proporzionale, riforme e simili amenità sono i nomi di altrettanti fallimenti. Così come la fusione a freddo del Pd ha portato alla distruzione della sinistra radicale senza guadagnare a sé neanche un voto, così la fondazione del Pdl ha dissolto il partito di Alleanza Nazionale mentre la Lega Nord “ha vinto” solo perché è l’unica a non aver perso.

    Ma se le destre leghiste e berlusconiane preparano cambiamenti strutturali a uso e consumo della riproduzione della propria casta e di un pezzo invero piccolo del loro elettorato, le frantumazioni della sinistra prospettano per il proprio “popolo” la galera a vita del lavoro salariato e un ritorno fondativo alla Costituzione, superata nei fatti dai comportamenti sociali delle masse alfabetizzate che nel dopoguerra hanno preso molto sul serio le promesse repubblicane, spostando sempre più in là la soglia dell’esigibile.

    Perfino il 25 aprile, fino a ieri appuntamento facile in cui celebrare l’unione mi(s)tica col proprio elettorato, è diventato un appuntamento ostico, foriero di critiche e contestazioni, una data in cui non ci si ritrova più.

    Se tutto questo succede, è semplicemente perché la crisi sta lavorando a fondo, disvelando la natura piu autentica della politica come mestiere e scavando la fossa al patto sociale “democratico” della delega e della rappresentanza.

    Da diversi anni ormai, la politica istituzionale va sempre più specializzandosi in due funzioni particolari: verso il basso come apparato di cattura dei movimenti, per neutralizzarli; verso l’alto come comitato di affari della borghesia, traducendone gli interessi in comando di classe contro gli/le sfruttati/e. Una scienza per l’amministrazione dei conflitti sociali, sempre più impegnata nella riduzione di questi in variabile da equilibrare o problema di ordine pubblico da reprimere.

    Da questa politica, davvero, non abbiamo proprio più nulla da aspettarci.

    Le lotte e i movimenti invece, là dove riescono a radicarsi e riprodursi in percorsi allargati, formando piani di consistenza, alterano gli equilibri e innescano reali processi di trasformazione, facendo dell’esistente un campo di battaglia. Individuano con chiarezza alleati e nemici, affilano le armi e affinano le strategie. Partono dalla base materiale del proprio potere per definire finalità e senso del proprio agire.

    E’ quello che abbiamo visto innescarsi in val Susa: un territorio che si costituisce in comunità solo dopo aver fatto proprio e reinventato il bisogno di lotta e partecipazione. Ma è quello che, in formè più instabili e precarie, vediamo riformarsi ogni volta anche in movimenti più piccoli, come apertura sul possibile e sguardo in avanti.

    Conosciamo già le obiezioni: i movimenti vanno e vengono, le lotte territoriali sono poche e troppo parziali, le soggettività dell’antagonismo “per quanto preziose” non possono riassumere e dare risposte concrete alle difficoltà quotidiane di milioni di famiglie e singoli indaffarati dall’arrivare a fine mese.

    Lo sappiamo benissimo: il lavoro (quando c’è) non dà tregua; l’affitto è sempre troppo alto e si mangia un terzo dello stipendio; il reddito familiare mensile finisce già alla seconda settimana. Debiti e leasing diventano lo strumento necessario per la mera sopravvivenza, incatenando ancora di più i proletari e le loro famiglie a un sistema inventato dal Capitale per spremere profitti e valore anche in assenza di reddito.

    Eppure non ci sono alternative, non si scappa. Non ci si può sottarrre dalla necessità di organizzare, passo dopo passo e aldifuori dalle istituzioni, percorsi di lotta e aggregazione che lavorino alla sedimentazione di forza e alla costruzione di contro-soggettività, instillando la consapevolezza che la politica o è pratica e ricerca dello scontro (adeguatamente equipaggiati) o non è. Perché nulla civerrà regalato! E tutto quello che otterremo, lo otterremo solo se saremmo abbastanza forti da prendercelo.

    O ci si mette in testa questa verità cristallina che la crisi non tarderà a svelare in tutta la sua violenza, o ci si consegna –mani, cuori e testa– ad una macchina capitalistica onnivora che riduce -non solo la forza-lavoro che portiamo in corpo ma la vita tutta- a pura variabile dipendente dalle fluttuazioni di mercato.

    Perché questo, -e non altro- è il sistema capitalista.

    Nelle alte sfere della poltica, la differenziazione relativa al rapporto che con esso si intrattiene non si pone, oscillando tra i cantori delle virtù indiscutibili del dio mercato e piagnoni della mancanza di regole. Come se il problema non fosse di struttura e di sistema ma di regole, quando è di regole (di queste regole) che si soffre e si muore.

    Ripartire da noi, dai nostri bisogni e dai nostri desideri (sapendo però bene chi e cosa ci sta di fronte come controparte nemica): questo è il nostro programma. Per dare visibilità e corpo a questa sfida scendiamo in piazza questo 1° maggio!

    Network Antagonista Torinese (Csoa Askatasuna - Csa Murazzi - Collettivo Universitario Autonomo - Kollettivo Studenti Autorganizzati)

    venerdì 30 aprile 2010

    I ricercatori: «Stop alle lezioni»


    [www.ilmanifesto.it] A Milano l'assemblea nazionale

    di Roberto Ciccarelli

    Dal prossimo ottobre rifiuteranno di tenere lezione e bloccheranno i corsi di laurea se nel disegno di legge Gelmini sull'università non cambieranno le norme che regoleranno la governance degli atenei, non saranno ritirati i tagli al fondo ordinario (Ffo) degli atenei e non saranno modificate quelle che ostacolano la carriera dei ricercatori e aggravano il precariato. Lo ha stabilito l'assemblea organizzata ieri alla Statale di Milano dai ricercatori universitari dei 72 atenei mobilitati contro il Ddl. «Se dovesse passare - afferma Alessandro Ferretti, fisico dell'università di Torino - rifiuteremo ogni incarico didattico non obbligatorio, limitandoci a tutoraggio e laboratori così come prevede la legge».

    La scelta di rinunciare alla didattica ricorda quanto è successo in Francia un paio d'anni fa quando i maitre-à-conference sospesero per un anno intero la didattica e gli esami. L'impressione è che abbia aumentato la forza contrattuale del movimento che ieri si è dotato anche di un coordinamento nazionale. Se ne sono accorti a Roma dove due giorni fa si è tenuto al Miur un incontro interlocutorio tra i ricercatori e Alessandro Schiesaro, il responsabile della segreteria tecnica che sta curando la stesura della legge. La conclusione che i partecipanti ne hanno tratto è che i tagli imposti dal Ministro dell'Economia Tremonti sono definitivi e porteranno nel 2011 ad una decurtazione del 14,7 per cento del finanziamento degli atenei. Questa situazione porterà nel giro di pochi mesi l'intero sistema al collasso. Già oggi, infatti, il costo degli stipendi del personale è superiore ai fondi ministeriali.

    L'università non è solo incapace di assumere nuovi ricercatori e di fare progredire la carriera di quelli strutturati, ma non potrà affrontare la gestione quotidiana al punto che molti atenei sono in bilancio provvisorio.

    Nell'assemblea di ieri era diffusa la consapevolezza che l'Italia stia progettando la fine della propria università moderna. Contro questo scenario inquietante, ma realistico, i ricercatori propongono un contratto unico di ricerca garantito che abolisca il precariato garantendo le tutele giuridiche fondamentali ai più giovani; un ruolo unico della docenza, articolato su tre fasce, che permetta la progressione della carriera dei ricercatori a tempo indeterminato e la retribuzione di ogni impegno didattico ulteriore rispetto alla ricerca; un reclutamento straordinario previo rifinanziamento del sistema.

    «Non siamo un movimento che si batte per la difesa dell'esistente e non chiediamo una sanatoria che faccia i ricercatori tutti associati - afferma Stefano Simonetta, membro del Cda della Statale di Milano e ricercatore in storia della filosofia medioevale - Puntiamo a fare emergere la contraddizione di un sistema che è sempre meno finanziato e si regge sul volontariato di migliaia di precari che non hanno voce e di altrettanti ricercatori che la Gelmini vuole mettere in esaurimento nel 2013».

    I ricercatori mobilitati sono in media poco più che quarantenni entrati da poco in ruolo. Davanti a sé hanno ancora una trentina d'anni di carriera bloccata e la prospettiva di una pensione dimezzata rispetto all'ultimo stipendio. Da Ancona a Firenze, da Como-Varese a Bari, ciò che li unisce è la coscienza di essere finiti in un vicolo cieco. Una sensazione non molto diversa da quella che matura nel ceto medio italiano da quando è iniziata la crisi. Nei loro discorsi la precarizzazione delle aspettative professionali viene accompagnata sempre dalla certezza che un intero sistema è destinato al fallimento.

    «La formazione che daremo agli studenti, e ai loro fratelli minori, sarà sempre peggiore - conclude Simonetta - Nei prossimi anni, dopo il pensionamento in massa degli ordinari, la faranno ricercatori sempre più anziani e demotivati insieme a precari sempre più precarizzati.». «Già oggi - ribadisce Pietro Graglia ricercatore a scienze politiche della Statale - copriamo il 40 per cento della didattica ufficiale, pur non essendo obbligati per legge a svolgere tale compito».

    I numeri della protesta si allargano quotidianamente in particolare nelle facoltà scientifiche dove la maggioranza dei ricercatori ha già ritirato la propria disponibilità a tenere lezione. Lo stesso orientamento è stato confermato dai dati del sondaggio online diffuso in assemblea a primo mattino che ha raccolto le opinioni di 2363 docenti, ricercatori, precari e studenti in tutto il paese, 819 solo a Milano.

    Tra i molti precari e studenti presenti all'assemblea, c'era Ilaria Agostini del coordinamento ricercatori precari di Firenze e Torino che ha auspicato un'alleanza tra ricercatori, precari e studenti per riformare l'università in maniera solidale. "Dobbiamo evitare una guerra tra poveri. Mi auguro che questa mobilitazione non resti prigioniera di rivendicazioni corporative". Un rischio paventato anche dai ricercatori a tempo indeterminato che preferirebbero allargare la mobilitazione al diritto allo studio e alla creazione di un sistema di welfare per studenti e precari. Questa possibilità di alleanza potrà essere verificata il prossimo 18 maggio quando le associazioni della docenza hanno convocato una giornata di mobilitazione negli atenei e il giorno successivo quando il movimento si è dato appuntamento ad un presidio davanti al Parlamento.

    Ricercatori in lotta, l'assemblea nazionale a Milano


    [www.infoaut.org]
    Centinaia di ricercatori e ricercatrici di 32 atenei del nostro paese si sono ritrovati ieri in assemblea nazionale all'università di Milano sancendo un ulteriore passaggio dell'opposizione alla riforma Gelmini dell'università, sull'onda delle loro mobilitazioni degli ultimi mesi, agendo un'"indisponibilità" mancata durante le mobilitazioni dell'Onda ma che oggi può andare a costituire il volano per un'agitazione che viene, nelle università, per il mese di maggio... nella prospettiva di incamerare benzina per andare spediti verso il  prossimo autunno.

    Il comunicato conclusivo, messo in rete quest'oggi, della riunione nazionale, alla quale hanno partecipato anche studenti docenti e lavoratori, che lancia la settimana di mobilitazione negli atenei che va dal 17 al 22 maggio.

    Appello per un Primo Maggio dell'opposizione sociale


    Appello congiunte delle realtà sociali autorganizzate di Torino per una partecipazione allo spezzone dell'opposizione sociale.

    Di fronte ad una crisi che si fa sempre più profonda e aggressivanei confronti dei soggetti più deboli, le politiche del governo sicaratterizzano per le misure anti-popolari che tagliano il costo dellaforza-lavoro, attaccano il reddito e scaricano verso il basso i costisociali della stessa.

    I partiti e i sindacati concertativi restano a guardare,senza attrezzare risposte efficaci, limitandosi ad "accompagnare"riforme del lavoro costruite a tavolino da Confindustria e poteri forti.

    Come realtà dell'autorganizzazione socialeinvitiamo quindi i/le torinesi a vivere ed attraversare diversamente lagiornata del 1 maggio, non accontentandosi di una mera ritualitàcelebrativa ma smarcandosi visibilmente da quegli aggregati politici esindacali complici del disastro in atto; collocandosi invece nellospezzone dell'opposizione sociale come unica opposizione credibile,composta da quei soggetti che quotidianamente praticano e sperimentanouna politica altra e differente, costruita dal basso, contro leconcertazioni e le compatibilità che si consumano sulle nostre teste.

    Un primo maggio di lotta:

    • Contro una crisi che non abbiamo creato noi ma che ci vogliono far pagare, per la  riappropriazione della ricchezza socialmente prodotta.
    • Contro l'arbitrato e il collegato lavoro che smantella l'art 18 e instilla la norma del contratto  individualizzato, reddito per tutt*, lavoro stabile e in condizioni di sicurezza.
    • Contro l'apartheid istituzionale che fa del lavoratore migrante la pietra angolare dello sfruttamento generalizzato della forza-lavoro, a fianco delle lotte migranti e per la chiusura dei cie.
    • Contro la "riforma" Gelmini e i finanziamenti alle scuole private, per una scuola e un'università pubbliche e di tutti/e.
    • Contro le biopolitiche di controllo su sessualità e riproduzione, per l'autodeterminazione e la libertà di scegliere in ogni ambito delle  nostre vite.
    • Contro lo sperpero delle grandi opere e la devastazione promessa dal Tav, a fianco del movimento NoTav e delle lotte per i beni comuni.
    • Contro le politiche repressive e l'apertura di spazi all'estrema destra, per una comune battaglia contro vecchi e nuovi fascismi.
    • Contro una Torino ridotta a vetrina  di grandi eventi che fanno gli interessi di pochi, per una città che metta al centro la qualità della vita ed un diverso uso delle risorse.
    • Contro la delega del nostro futuro ad una casta di politici, affaristi e speculatori, per una politica in prima persona centrata sui bisogni e i desideri di trasformazione.

    Adesioni:


    Network antagonista torinese (Csoa Askatasuna - Csa Murazzi – Kollettivo Studenti Autorganizzati - Collettivo Universitario Autonomo) - Confederazione Unitaria di Base (Cub) - Confederazione dei Comitatidi Base (Cobas) - Federazione delle Rappresentanze di Base (Rdb) - Sindacatodei Lavoratori (Sdl) - Collettivo Comunista Piemontese (Ccp) - Assemblealavoratori autoconvocati Torino (Alato) - Comitatodi quartiere Vanchiglia - Comitato“Ricordare la Nakhba” - Circolo di Rifondazione Comunista “Meyer-Vighetti” di Bussoleno - Rete Antagonista Torino Sud (Rats) - Csoa Gabrio - International Solidarity Movement Torino

    martedì 27 aprile 2010

    Atenei, i fantasmi della cattedra Migliaia i collaboratori nascosti


    [www.repubblica.it]
    Nessuno ha mai calcolato esattamente quanti siano, ma senza prendere una lira assistono i "loro" docenti, aiutano a preparare le tesi e spesso insegnano

    di Manuel Massimo

    Non affannatevi a cercarli sugli elenchi ufficiali o nelle banche dati del Miur: loro per l'anagrafe del Ministero dell'Università non esistono. Sono i tantissimi collaboratori di cattedra che "danno una mano" negli atenei, rigorosamente gratis e senza alcun riconoscimento di fatto del loro status. In concreto aiutano i docenti nelle piccole faccende pratiche (come fare ricevimento e correggere le tesi) ma in molti casi salgono anche in cattedra, tenendo lezioni e interrogando agli esami. In gergo si chiamano assistenti ma la definizione non rende bene l'idea dei loro compiti reali: spesso si tratta di factotum, "tappabuchi" a costo zero per tamponare le falle del sistema universitario, che intervengono laddove c'è bisogno.

    Un fenomeno molto vasto che interessa di fatto tutti gli atenei italiani: quale rettore può sostenere che nella sua università non ci sia almeno un "collaboratore di cattedra" che lavora gratis nei locali dell'ateneo? Probabilmente nessuno ci metterebbe la mano sul fuoco. Soprattutto perché non è mai stato fatto un censimento: non avendo alcun inquadramento contrattuale si fa semplicemente finta che queste migliaia di persone non esistano, veri e propri fantasmi della cattedra.

    Il precariato "ufficiale" censito dal Miur risale al 2008 ed è di 38mila unità, inclusi assegnisti e contrattisti; ma dei collaboratori "senza alcun riconoscimento formale" e dei cultori della materia che non percepiscono alcunché non c'è traccia. Un dato attendibile sul fenomeno nella sua complessità lo fornisce l'Andu (Associazione Nazionale Docenti Universitari), che a novembre del 2009 commentando il Ddl governativo sull'Università stimava in 70-80mila "i ricercatori precari che attualmente sono nell'Università, con un trattamento economico minimale o nullo, in condizioni di subalternità scientifica rispetto ai 'maestri' che li hanno reclutati".

    Come si comincia. A scegliere è il professore: di solito il collaboratore di cattedra è un suo neolaureato che ha fatto una tesi particolarmente brillante e che aspira a mantenere un contatto con l'università. Intanto perché "fa curriculum" e poi anche perché è il mezzo più immediato per rientrare in facoltà - magari in attesa di un bando di dottorato - e cominciare a capire dall'interno come funzionano gli ingranaggi del sistema accademico: un'alchimia fatta di pesi e contrappesi, di cose da fare e altre da evitare.

    Identikit del collaboratore. La casistica è piuttosto varia, le motivazioni che spingono un giovane a "regalare" tempo e lavoro al suo docente-benefattore sono molteplici: c'è chi punta sull'entusiasmo e vuole continuare a insegnare, sperando in un suo futuro inserimento stabile (in realtà molto remoto); chi vuole invece rimanere in contatto con i centri di ricerca e per farlo cerca di trovare un posto al sole all'ombra della cattedra. Ma non manca chi, secondo la logica spicciola del "do ut des", aspira semplicemente a fare il portaborse del barone di turno, in attesa che questa fedeltà venga adeguatamente ripagata in ambito accademico. In tutti i casi la molla che spinge a intraprendere questa strada è il fattore "prestigio" che deriva dal poter spendere il nome dell'università e della collaborazione con la cattedra: un valore aggiunto che non ha prezzo.

    Studenti: amici/nemici. I collaboratori di cattedra generano sentimenti ambivalenti negli studenti che si relazionano con loro in due momenti "topici" della propria carriera universitaria. Il primo è all'esame: i giovani assistenti - spesso coetanei dei ragazzi che interrogano - in caso di eccessiva severità entrano nel mirino degli studenti (nei corridoi della facoltà ma anche su Facebook, dove esistono gruppi come "Qui odiamo gli assistenti universitari"). L'altro momento clou è nell'iter del lavoro di tesi: i collaboratori "invisibili" che seguono con diligenza i laureandi della cattedra ottengono un posticino nei ringraziamenti, con il loro nome stampato accanto a quello di amici e parenti. Una piccola attestazione "ufficiosa" che loro all'università ci lavorano per davvero, nonostante si faccia finta di non vederli.

    lunedì 26 aprile 2010

    Note parallele ad una strategia poliziesca già fallita


    [www.uniriot.org]
    Solidarietà da Torino ai compagni e alle compagne dell'Aut-Aut di Genova ...mentre s'avvicina il maggio 2010 No Rewind...

    Da settimane si sussegue il gonfiarsi della mole di denunce contro i compagni e le compagne dell'Aut-Aut di Genova. Il tutto si inserisce all'interno del terzo segmento dell'operazione poliziesca Rewind, in riferimento agli scontri al G8 University Summit di Torino del 19 maggio 2009. Il ritmo scandito degli altolà dei questurini contro gli studenti e le studentesse dell'Onda di Genova che hanno partecipato alla straordinaria mareggiata torinese ha oramai assunto la dimensione del ridicolo... una settimana 5 denunce, quella dopo un altro paio, ogni tanto qualche scheggia impazzita mandata in missione solitaria... La conta all'oggi è ferma a 16, l'ultima denuncia la scorsa settimana. Ci vien quasi da ridere, anzi, togliamo il quasi. Ridiamo per l'inconsistenza giudiziaria di dispositivi repressivi vuoti, ridiamo per il metodo da circo usato dalle questure di Torino e indirettamente di Genova, ridiamo perchè non abbiamo paura.

    L'accusa che viene propinata è quella del travisamento in manifestazione autorizzata! 16 denunce per teste copertasi - anche solo parzialmente! - sotto la pioggia di lacrimogeni esplosa dagli smarriti fronti polizieschi in corso Marconi, nell'impossibilità di contenere la determinazione e la rabbia di un'Onda non arginabile. Oltre ai compagni e alle compagne di Torino Bologna Padova e Napoli già sotto processo per il primo filone d'inchiesta Rewind, altre denunce sono arrivate nelle ultime settimane in altre città (nuovamente Bologna, Brescia e Venezia): che obiettivo ha l'elargizione di questi dispositivi di avvertimento? pretorini e sbirri pensano di intimorirci? Sbagliano ancora, peccano di meccanica presuntuosità. Il lascito soggettivo plasmato dall'Onda non è così misero da essere in balia dello sfizio repressivo di chi pensa di difendere la pace sociale minacciando, invitando alla ritirata chi invece cose da dire e da fare ne ha ancora tante, per cambiare questo paese di merda che la sua guerra ai giovani e alla loro sete di trasformazione l'ha dichiarata da tempo.

    Nel frattempo, mentre il 19 maggio 2010 si avvicina, senza nessuna velleità commemorativa, ma nella politica determinazione di gridare ancora che "dietro quello scudo c'eravamo tutt*", stiamo costruendo a Torino e Bologna appuntamenti pubblici con i quali proseguiremo la nostra opera di decostruzione di Rewind, aggiungendo un ulteriore tassello simbolico di risposta ad un teorema repressivo già ribaltato.

    Sulle vostre facce scorgiamo solo l'espressione frustrata della sconfitta.
    Non siete riusciti ne riuscirete a fermarci.
    Non ci arrendiamo, fatelo voi.

    Solidarietà ai compagni e alle compagne di Genova

    UniRiot Torino

    Fuan e giovani pdiellini cacciati dalla palazzina Einaudi


    [www.infoaut.org] Fascista bagnato,fascista fortunato!

    Ennesima buffonata da parte del Fuan, componente giovanile del Pdl, alla Palazzina Einuadi di Torino. Un gruppetto di suoi militanti, orfani dei vecchi leader eletti in consiglio regionale, si presenta in università il giorno dopo il 25 aprile volantinando per l’elezione alla consulta nazionale, sterile organo rappresentativo distante più che mai dai reali terreni di rivendicazione universitaria. Gavettoni, cori derisori e uno striscione che allude al loro passato dichiaratamente fascista sono il comitato d’accoglienza che gli studenti riservano a questi giovani militanti di partito. Gli studenti fanno notare come i loro contenuti politici non siano per nulla al passo con la trasformazione della società in cui viviamo e sottolineano la loro incompatibilità con quell’idea di autoriforma dell’università che è il prodotto del movimento dell’Onda e di tutte le mobilitazioni che ancora oggi continuano a darsi.

    Non è un mistero che il Fuan, completamente sottomesso al governo Berlusconi, sia favorevole al ddl Gelmini e quindi all'inevitabile smantellamento dell’università se saranno confermati i tagli ai finanziamenti pubblici previsti dalla legge. Inoltre, anche alla luce della manifestazione di sabato scorso contro il “Patto per la Vita” di Cota, viene sottolineato come questi soggetti siano sostenitori delle politiche oscurantiste volute dal governo e dei tentativi di impedire l’utilizzo della RU486 da parte del neoeletto presidente della Regione Piemonte. Ricordiamo come tutto ciò va di pari passo con l’ambizione ad imporre un modello di famiglia che non tiene conto delle esigenze del singolo individuo più una pericolosa retorica razzista, troppo spesso convertita in legge, che penalizza i migranti di questo paese e nega loro i diritti fondamentali.

    Dopo un intenso speakeraggio il manipolo di razzisti è costretto a lasciare la palazzina scortato dalla polizia che, nel frattempo, impedisce agli studenti di entrare e uscire dalla sede universitaria. E’ impossibile non notare come ogni tentativo da parte di questi gruppuscoli di farsi pubblicità (nella speranza di racimolare qualche voto) corrisponda ad una totale militarizzazione degli spazi universitari, con decine di celerini in assetto antisommossa pronti caricare gli studenti e funzionari della Digos sfacciatamente minacciosi e provocatori.

    domenica 25 aprile 2010

    giovedì 22 aprile 2010

    Gli indisponibili del Politecnico di Torino


    [www.infoaut.org]
    Occupato il rettorato dell'altra università torinese. Lavoratori e precari sempre più indisponibili...

    Se qualche settimana fa erano stati i ricercatori dell'università di Torino, con la loro dichiarazione di indisponibilità in vista del prossimo anno accademico, a smuovere le acque delle università del nostro paese, imponendo soprattutto sotto il naso delle autorità accademiche problematiche rimaste irrisolte (se non peggiorate!), quest'oggi, a prendere maggiore intensità è stato il focolaio del Politecnico, sempre nella città piemontese.

    Annunciato già da diversi giorni, dopo una serie di assemblee tenutesi in ateneo, lo sciopero proclamato dalle 10 alle 12 dalle Rsu ha ottenuto il risultato sperato, probabilmente andando anche al di la delle previsioni per quanto riguarda le adesioni del personale tecnico-amministrativo e dei precari. Questa mattina il presidio nel cortile interno dell'università di corso Duca degli Abruzzi si è man mano fatto più partecipato, centinaia di lavoratori precari e studenti han deciso prima di fare un corteo interno e poi di andare ad occupare il rettorato!

    Hanno preteso di parlare con il rettore Profumo, occupando la sua "stanza dei bottoni", luogo dal quale da tempo partono promesse che poi puntualmente non vengono mantenute... Le richieste che il personale tecnico-amministrativo esercita da mesi sono rimaste disattese, il che è ancora più inaccettabile dinnanzi al progetto di ristrutturazione pensato dal direttore amministrativo Periti, disegnato senza nessuna condivisione con coloro che ne sono i destinatari... L'occupazione del rettorato sembra aver colpito nel segno, visto che il rettore Profumo, questa volta, messo con le spalle al muro dalla forza della protesta, ha dovuto aprire alle rivendicazioni del personale tecnico-amministrativo, assumendo impegni pubblicamente...

    Nel pomeriggio si è poi tenuto il senato accademico, dentro il quale sono riusciti a guadagnarsi la parola anche i precari del Politecnico, che si sono presentati in delegazione (una cinquantina) dentro la sala dove si stava tenendo la seduta, strappando il risultato che al prossimo senato si discuta del destino dei ricercatori precari dell'ateneo, nella minaccia (come fatto dai colleghi dell'altro ateneo torinese) di blocco dell'anno venturo...

    ...si allunga la lista e la determinazione di chi si è "proclamato indisponibile"...

    mercoledì 21 aprile 2010

    Sciopero al Poli, domani chiusi aule e uffici


    [www.lastampa.it/torino]
    Nel mirino il direttore amministrativo, i sindacati: «Non rispetta gli accordi»

    di Andrea Rossi


    Le segreterie? Chiuse. Le aule? Sbarrate? I dipartimenti? Senza segretari né addetti. I laboratori? Senza tecnici. Le segreterie studenti? Vuote, nessuno a ricevere gli iscritti, chiarire dubbi e stampare moduli. Tutte le altre segreterie? Chiuse. Le biblioteche? Porte sbarrate: niente libri in consultazione, né prestiti. Sarà difficile persino fare una fotocopia, perché al centro stampa potrebbe non esserci nessuno.

    Tutto fermo. Forse è il primo caso di sciopero «ad personam». Di sicuro rischia di paralizzare il Politecnico per un giorno. Domani il personale tecnico e amministrativo di corso Duca degli Abruzzi - più le cinque sedi decentrate, cioè Vercelli, Verres, Alessandria, Mondovì e Biella - incrocia le braccia, e lo fa con un bersaglio preciso: il direttore amministrativo Enrico Periti, in carica da circa dieci mesi.

    Le Rsu hanno proclamato due ore di serrata, dalle 10 alle 12, che però potrebbero estendersi al pomeriggio, quando si riunirà il Senato accademico. Ai quasi 900 tecnici e amministrativi si aggiungeranno i 750 precari della ricerca, «da mesi in attesa di un tavolo di trattativa per vederci riconoscere diritti essenziali», scelta che minaccia di aggravare la situazione sul fronte didattica, visto che molti - oltre a lavorare nei dipartimenti - insegnano, ricevono gli studenti e seguono le tesi. Professori e studenti, insomma, rischiano di restare soli, privi di una rete di sostegno e supporto indispensabile.

    Una serrata così - per ragioni interne - al «Poli» non la vedevano dal 1998. «È una mossa necessaria, perché il clima è diventato pesante», spiega Rino Lamonaca, uno dei rappresentanti sindacali al Politecnico. «C’è un atteggiamento dirigista e decisionista che non tiene conto del parere dei lavoratori e nemmeno li consulta, come invece prevede la legge».

    Il riferimento è al direttore amministrativo Periti. Piacentino, 45 anni, laureato in Scienze politiche, è arrivato a settembre prendendo il posto di Marco Tomasi, nominato direttore generale del ministero dell’Università. «Il suo arrivo ha decretato un cambio radicale nei rapporti interni all’ateneo - racconta Patrizia Lai, un’altra delegata sindacale -. Accordi precedentemente firmati, come la stabilizzazione di venti colleghi precari, sono stati stralciati. È stata varata una riorganizzazione interna: con il blocco del turnover e i prepensionamenti si è ridotto l’organico tecnico, si sono accorpati dipartimenti creando così personale in esubero da destinare a settori rimasti scoperti. Il tutto in maniera unilaterale».

    Altro episodio che ha alimentato il clima di rivolta è il calendario per il prossimo anno accademico. L’ateneo chiuderà i battenti per 16 giorni. Così si pensa di risparmiare 200 mila euro. «Peccato che la riorganizzazione interna e il calendario per legge siano questioni che andrebbero discusse con i lavoratori. Così non è stato», fa sapere Antonio Grassedonio delle Rsu. Dall’ateneo, per ora, nessun commento.

    Studenti in movimento per cavalcare l'Onda. Proiezione Youngstown a Palazzo Nuovo


    [www.ilmanifesto.it] «Youngstown», vite precarie da docu-fiction

    di Benedetto Vecchi

    Computer sempre acceso e connesso alla Rete, televisore perennemente sullo sfondo. E una casa affastellata di libri, letti in disordine e arredamento minimal. Sono gli interni del video Youngstown - un'altra volta, un'altra Onda girato emontato come una docu-fiction dal gruppo romano, coordinato da Maurizio Gibertini di Officina multimediale. Si racconta l'Onda che per alcuni mesi invase le strade di Roma, Bologna, Milano, Pisa e Firenze per protestare contro il progetto di controriforma dell'Università targatoMaria Stella Gelmini e Giulio Tremonti. Filo conduttore, due giovani studenti universitari di Roma che alternano studio, lavoro (precario) e partecipazione al movimento. A loro modo, sono figure rappresentative della contemporanea condizione studentesca che non conosce confini e frontiere. Se si leggono, infatti, le cronache delle mobilitazioni studentesche austriache, tedesche, francesi, greche e statunitensi degli ultimi due anni, non ci sono poi così differenze rispetto la vita (metropolitana) di Vienna, Parigi, Roma, Atene o Berkeley. Tutti gli studenti sono inseriti in percorsi formativi che devono essere bruciati nel minor tempo possibile, perché l'università è una fabbrica del sapere che tritura bisogni e desideri nei tristi meccanismi dei crediti formativi. Ma una volta usciti, corrono il rischio di essere risucchiati nel gorgo della precarietà. L'università, cioè, invece che preparare la futura classe dirigente è un dispositivo che addestra all'eterno presente di una «vita precaria». Questo non vuol dire che nell'università non si riflettono le differenze di classe presenti nella società. Più prosaicamente, la futura classe dirigente si forma sempre più fuori dall'università di massa scaturita dalla rivoluzione mondiale del Sessantotto.

    Il video alterna la vita dei due giovani con immagini delle manifestazioni in giro per l'Italia e con interviste a ricercatori (precari), docenti e architetti. Il ritmo delle immagini che scorrono è paragonabile a quello della calma prima che inizi la mareggiata e l'onda che tutto rimette in movimento. I dialoghi in interno hanno il potere ipnotico di una asfissiante normalità che, invece, il movimento, l'onda riesce a infrangere. E tutto ciò potrebbe far pensare che lamiseria della condizione studentesca tale sia destinata a rimanere. Quando le riprese si spostano nella strada, zigzagando tra cortei che sembrano happening, il video decolla, quasi a suggellare il fatto che le «vite precarie » dei giovani possono manifestare potenza politica solo se si mettono in movimento. Non è un caso che la colonna sonora dell'Onda oscilli tra un pop raffinato e il rap delle banlieues francesi. Il video di Officina multimediale, tuttavia, registra la capacità dell'Onda di non volere essere un movimento reattivo a una proposta di legge sull'università. Per mesi, l'ordine del discorso di questo movimento ha messo l'accento sul fatto che la crisi economica non poteva essere pagata dagli studenti o dal «lavoro vivo». Accanto a questo, l'Onda ha sottolineato come la condizione studentesca non fosse analizzabile se veniva rimossa la questione della precarietà e dalla dismissione del welfare state. Dunque, un movimento che ha rivendicato da subito la sua politicità e la sua autonomia dalle forme organizzate della politica istituzionale. Da qui, gli intermezzi e le interviste presenti nel video su come le forme di controllo messe in campo dal governo italiano hanno sempre oscillato tra la minaccia di usare le maniere forti e una gestione degli spazi metropolitani affinché le manifestazioni non interrompessero i flussi produttivi. E di come, però, il movimento è sempre riuscito a infrangere talimeccanismi di controllo, riuscendo, talvolta, a «bloccare la città». Il videomette a fuoco ciò che era accaduto con un ritmo che alterna il rallenti con accelerazioni, introducendo così, implicitamente, cioè che è accaduto con la risacca. Ma siamo ai titoli di coda. In attesa di una nuova mareggiata.

    Il video sarà presentato oggi (21 aprile) a Torino a Palazzo Nuovo (ore 16.30, via S. Ottavio 20), mentre domani dopo verrà presentato a Milano (ore 16.30, via del Conservatorio 7)

    martedì 20 aprile 2010

    Patti chiari solo con la Chiesa. Giovani precari/e non pervenuti/e


    [cuatorino.blogspot.com]
    Se il buongiorno si vede dal mattino... Ecco cosa ci ha donato Cota nel suo primo mese da Presidente della regione Piemonte... [contributo del Collettivo Universitario Autonomo per l'opuscolo "Stato e Chiesa. Una relazione pericolosa"]

    Quando ancora molti non si erano ripresi dallo shock causato dalla notizia della vincita di Cota in Piemonte, ecco subito arrivare la “bomba”, ovvero la notizia del “Patto per la vita e la famiglia” firmato dal suddetto leghista e che fa della lotta alla libertà di scelta degli individui, in particolare donne, gay, lesbiche, transgender e migranti, la sua crociata personale. Sei punti le cui parole chiave sono VITA e FAMIGLIA, ovviamente presentate da un punto di vista meramente cattolico. La vita da difendere è quella dell’embrione non ancora formato, quella delle tante Eluana ormai in stato vegetativo persistente, e dei bambini a patto che siano nati da una famiglia monogamica ed eterosessuale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna. E gli/le altri/e? La vita della donna in quanto donna e non per forza in quanto madre passa completamente in secondo piano. Più soldi ai movimenti cattolici antiabortisti e totale messa in discussione della libertà d’aborto attraverso una campagna persecutoria contro la pillola abortiva RU486, colpevole di permettere di abortire in maniera fisicamente meno invasiva e dolorosa (e sottolineiamo fisicamente) e di far sentire gli obiettori di coscienza “delegittimati” nel loro “lavoro”. Per quanto riguarda gay, lesbiche e transgender, Cota respinge vigorosamente i loro diritti e non riconosce la loro libertà di scelta in campo sessuale. Anzi, pare proprio non voler riconoscere essi/e stessi/e in quanto tali. Non essendo eterosessuali, l’eventuale “famiglia” che decidessero di fondare non sarebbe comunque riconosciuta, non avrebbe valore, quindi niente politiche di sostegno.

    E gli/le immigrati/e? Beh, Cota non poteva certo esimersi dal pronunciarsi rispetto a uno dei temi che più stanno a cuore alla Lega, ovvero la loro espulsione. Qui tutto si gioca nella fondamentale distinzione tra buoni (e qui rientrano soprattutto donne –intese come badanti- mamme e bambini) e cattivi (il gruppo più numeroso). Ovviamente per questi ultimi è previsto il rimpatrio, non prima di un “soggiorno” nei CIE, un carcere a tutti gli effetti. Arrivano però anche le buone notizie. Sì, ma solo per la chiesa cattolica, a cui stanno per arrivare ingenti somme di denaro –come se il Vaticano ne avesse davvero bisogno! E mentre noi studenti e studentesse delle superiori e delle università pubbliche ci confrontiamo ogni giorno con il degradante effetto degli ingenti tagli alla formazione a cui la Riforma Gelmini ha contribuito a dare la stoccata finale, ecco che Cota ci parla del ruolo unico svolto in Piemonte in oltre trecento anni di attività dalla scuola cattolica, che ha reso alla nostra regione servizi inestimabili, promettendo erogazioni di bonus o rimborsi per le famiglie che opteranno per questa scelta per l’educazione dei loro figli. E proprio su questo punto si apre una contraddizione enorme che ovviamente ricade su noi studenti e studentesse iscritti all’università pubblica. La litania del non ci sono soldi per l’istruzione e la ricerca c’è l’hanno ripetuta all’infinito. Ci siamo visti tagliare i fondi in maniera spropositata e a pagarne le conseguenze sono stati interi corsi di laurea, docenti, ricercatori, personale pubblico-amministrativo e soprattutto noi studenti. La legge Gelmini ha di fatto decretato la morte dell’università pubblica per come la conosciamo svendendola ai privati. Peccato che lo stesso discorso non valga per scuole e università cattoliche. Ogni anno la legge finanziaria diventa sempre più generosa nei confronti di queste istituzioni – in teoria - private, ma sempre più sostenute dai sussidi derivanti dal denaro pubblico.

    Insomma la crisi c’è ma a quanto pare c’è anche chi non la paga. E a guardare bene i piani di Cota, tra coloro che probabilmente la pagheranno di più, ci siamo anche noi giovani. A parte il venir giudicati in base a criteri fondati su religione, orientamento sessuale e razza, non c’è alcun riferimento all’opprimente stato di precarietà in cui la maggior parte di noi si trova a vivere e dal quale non si prevedono sbocchi. La parola giovani viene citata solamente in un punto del Patto, ma solo per parlare di giovani coppie che intendano contrarre matrimonio, allora sì, in questo caso, degne di supporto. E per tutti gli altri e tutte le altre? Non una parola, non una proposta per tentare di contrastare la crisi in cui versa l’università pubblica o il mondo del lavoro, a loro volta generati da una crisi strutturale a cui non si accenna minimamente. Ma siamo proprio sicuri/e che il sostegno alla vita qui non c’entri niente? Per caso per Cota esistono vite (o pseudo-vite) di serie A che vanno sostenute con tutte le forze (e i soldi) e vite di serie B immeritevoli di qualsiasi supporto o semplicemente non degne di nota? Ciò che lascia completamente basiti/e è la totale mancanza di presa in considerazione delle persone in quanto individui e non in quanto soggetti per forza appartenenti ad un nucleo familiare (per sua stessa definizione eterosessuale, monogamo e cattolico). Noi giovani rappresentiamo uno spaccato infinitamente variegato, che non vuole essere racchiuso in nessuna norma e non per questo qualcuno può ritenersi in diritto di non considerarci tra le priorità o di non darci la possibilità di accedere a politiche sociali volte a migliorare la nostra condizione di vita. Perché sicuramente tutti/e noi abbiamo diritto di vivere una vita che sia degna … anche se non siamo più embrioni e anche se non sogniamo un futuro da genitori/catechisti. La libertà e la possibilità di decidere del nostro futuro, di scegliere se continuare a studiare o lavorare, se vivere da single o in un nucleo da 5, se fare sesso con un uomo,una donna o un trans ,se vivere con i genitori o fuori casa, se dover rimanere in un contesto di guerra in Sudan o poter migrare in Italia, sono tutte libertà e possibilità che devono essere da noi pretese e dalla società garantite, anche se non si tratta di scelte fondate sulle sacre scritture!

    Probabilmente pensano di ricompensarci offrendoci il ruolo di spettatori appagati di fronte ad una Torino stravolta da un multi orgasmo collettivo (ovviamente mistico, per carità!) alla sola visione della sindone e del santo padre. Un santo padre che invece di fare almeno un cristiano Mea Culpa a seguito dello scandalo riguardante le molestie sessuali e le violenze subite da numerosi bambini da parte dei preti, non riesce a fare altro che continuare i suoi attacchi contro l’aborto e contro la libera scelta delle donne. La sua è una difesa della vita- ci spiega. Viene fin troppo facile ricordargli che la chiesa dovrebbe preoccuparsi un po’ di più di salvaguardare l’integrità della vita dei già nati, piuttosto che fare le crociate conto la 194 o l’uso del preservativo e non fornire così l’unico strumento in grado di proteggere le persone dall’AIDS. No, decisamente la visita del papa non ci troverà né entusiasti né ben disposti ad accoglierlo nella nostra città. A chi spetta quindi il compito di riuscire a spazzar via questa coltre di fumo nero che sta investendo Torino e la società intera? Chi ha sicuramente il potere e il dovere di intervenire siamo proprio noi giovani, che non possiamo accettare l’imporsi di una cultura profondamente razzista che cancella le nostre differenze, che non ci rispetta e che pretende l’adeguamento di tutti/e ad una sola morale, che racchiude in sé principi appartenenti al fondamentalismo cattolico della peggior specie affiancati ai sentimenti più spregevoli quali razzismo, xenofobia e omofobia e una rabbiosa intolleranza di fondo che si scatena contro chi non è omologabile al modello unico previsto. Si tratta di partire proprio dalle nostre scuole o università, luoghi di cultura in cui sentimenti di questo tipo vanno contrastati fin da subito e con ogni mezzo.

    I NO vanno detti e vanno detti senza indugi e gridati, in modo che si sentano forti e chiari, che non lascino ambiguità di sorta rispetto a quello che pensiamo e a ciò che rigettiamo. Spetta a noi giovani donne e giovani uomini qualsiasi sia la nostra condizione attuale di vita, studenti o lavoratori, disoccupati o cassintegrati, etero o gay, italiani o migranti, ma sicuramente tutti accomunati da un presente ed un futuro precario, far emergere quali sono i NOSTRI temi e non permettere che siano politici (né di destra né di sinistra) o chiesa a dettarceli. I nostri corpi sono sempre più terreno di scontro politico ed è proprio a questa strumentalizzazione che dobbiamo reagire. I temi all’ordine del giorno dobbiamo saperli costruire noi. Altrimenti la strada è quella che va verso l’arretramento culturale e l’imbarbarimento sociale. Noi dobbiamo pretende di andare verso un’altra direzione, la nostra.

    REAGIRE E RIAFFERMARE LA NOSTRA LIBERTA’ DI SCELTA DEVE ESSERE LA NOSTRA PRIORITA’

    lunedì 19 aprile 2010

    La Corte dei Conti boccia la laurea breve


    [www.rainews24.it]
    La Corte dei Conti boccia la riforma universitaria che ha introdotto il sistema a doppio ciclo, laurea e laurea specialistica (cioè quella breve), spiegando che "non ha prodotto i risultati attesi" nè in termini di aumento dei laureati nè in termini di miglioramento della qualità dell'offerta formativa. Anzi, sostiene la magistratura contabile in un Referto sul sistema universitario appena pubblicato, ha generato un sistema incrementale di offerta "con un'eccessiva frammentazione ed una moltiplicazione spesso non motivata dei corsi di studio".

    La Corte dei Conti boccia la riforma universitaria che ha introdotto il sistema a doppio ciclo, laurea e laurea specialistica (cioè quella breve), spiegando che "non ha prodotto i risultati attesi" nè in termini di aumento dei laureati nè in termini di miglioramento della qualità dell'offerta formativa. Anzi, sostiene la magistratura contabile in un Referto sul sistema universitario appena pubblicato, ha generato un sistema incrementale di offerta "con un'eccessiva frammentazione ed una moltiplicazione spesso non motivata deic orsi di studio".

    La Corte stima che dopo le riforme del 2004 e del 2007, solo dall'anno accademico 2008-2009, c'è stato un'inversione di tendenza. C'è da segnalare poi "il rilevante fenomeno dell'incremento delle sedi deccentrate e il peso via via crescente nassunto dai professori a contratto esterni ai ruoli universitari". C'è da dire, inoltre, che il sistema non ha migliorato la qualità dell'offerta formativa "anche in termini di più efficace spendibilità del titolo nell'ambito dello spazio comune europeo".

    Per la magistratura contabile, "gli effettivi sbocchi occupazionali che offrono i diversi corsi di laurea dovrebbero guidare l'andamento delle immatricolazioni e l'orientamento degli studenti verso le differenti tipologie di crisi".

    Rettore Pelizzetti: non ti laverai la coscienza con questa Conferenza!


    [www.infoaut.org]
    Si è tenuto oggi pomeriggio il secondo dei tre appuntamenti in cui il Rettore dell'Università di Torino, Ezio Pelizzetti, ha deciso di strutturare (e convocare) la Conferenza d'Ateneo. Conferenza che, se da una parte, è stata un atto dovuto dopo le pesanti pressioni create dalle proteste dei ricercatori e dalle continue rivendicazioni dei precari e degli studenti, dall'altra si voleva presentare come tentativo da parte delle istituzioni accademiche di porsi in modo accondiscendente nei confronti di tutti gli altri soggetti che realmente vivono l'università, un modo per dire che "anche loro" sono contro questo DDL attualmente in discussione in Parlamento.

    Forse, però, non tutto è andato secondo i piani...

    Dopo le relazioni iniziali del Direttore Amministrativo, del Rettore stesso e della professoressa Perroteau (presidente del nucleo di valutazione) che hanno illustrato come e quanto l'università di Torino sia bella e brava nella "gestione della complessità" della crisi in atto, si sono susseguiti numerosi interventi da parte di ricercatori, studenti, precari e persino di qualche docente, che hanno duramente criticato i contenuti e la struttura stessa di questo appuntamento.

    Da tutti è stato sottolineato come il loro modo di porsi altro non è se non una gestione della crisi dell'università, un mettere le pezze qua e là, il tentare di salvare l'insalvabile, il tutto a spese dei soggetti più coinvolti dai tagli, ovvero i precari e gli studenti e di come ben poco questo approccio assomiglia ad una reale presa di posizione contraria alla riforma.

    Molti degli interventi hanno infatti richiamato la ricchezza e le potenzialità di un movimento come quello dell'Onda, movimento che a più riprese aveva chiesto a Rettore e Senato Accademico una presa di posizione radicale (quali, ad esempio, le dimissioni), richieste alle quali si è sempre preferito fare orecchie da mercante. Gli studenti, ma anche i precari e i ricercatori, hanno fatto notare come le istituzioni accademiche si siano imbellettate di termini quali autoriforma (!) e gestione della governance senza però mai porsi il reale problema che sta alla base di questo tracollo dell'università pubblica e hanno accusato le istituzioni accademiche di voler semplicemente mirare a consolidare gerarchie di potere già ben note (e che essi vedono in qualche misura traballare con l'ingresso dei privati nelle sedi decisionali).

    In gioco, è stato più volte ripetuto, infatti, c'è molto di più dell'essere e mantenere il titolo di "università di eccellenza", dell'interesse corporativo di alcune componenti dell'università, o dell'intraprendere carriere politiche e avviare progetti privati. La posta in palio è infatti molto più alta, perchè in gioco c'è il futuro dell'università pubblica tutta, oltre al futuro di migliaia e migliaia di giovani.

    Mentre i precari hanno messo l'accento sulla mancanza di rappresentanza (non erano neanche stati menzionati nell'invito alla conferenza!) e sulla situazione sempre più difficile in cui si vengono a trovare, i ricercatori hanno nuovamente dichiarato la loro indisponibilità a fare più ore di lezione di quelle previste per legge, minacciando dunque la quanto mai reale possibilità che la maggior parte dei corsi (soprattutto le specialistiche delle materie scientifiche) il prossimo anno non partano, in quanto rimarrebbero scoperti un gran numero di insegnamenti.

    Tutti gli intervenuti hanno rimarcato la necessità di una risposta immediata e il più possibile unitaria, offrendo per l'ennesima volta la possibilità a Rettore (e company) di diventare parte della soluzione e non del problema (come finora è stato). Mentre i ricercatori hanno chiesto al Rettore e al Senato accademico di fare in modo che la settimana di maggio in cui hanno già previsto di sospendere le loro attività, venga trasformata in una settimana di sospensione completa della didattica a livello di d'ateneo, gli studenti hanno rilanciato la palla sul prossimo autunno, chiedendo al Rettore di convocare una vera e propria Assemblea d'ateneo, in cui sia realmente possibile (senza doversi iscrivere prima, sia per partecipare che per intervenire!) confrontarsi su come opporsi alla riforma.

    Il Rettore, in palese difficoltà, non ha ovviamente dato alcuna risposta alle richieste, rimandando tutto al prossimo Senato Accademico e al terzo incontro della Conferenza d'Ateneo, previsto per il 18 maggio.

    Ma oggi era davvero chiaro a tutte e tutti che: Pelizzetti... o sei parte della soluzione o sei parte del problema! Non sarà una conferenza a lavarti la coscienza!

    sabato 17 aprile 2010

    Riflessioni su Acmos, Scuola di politica, Libera e pseudo-cultura della sinistra giustizialista


    [www.ksainfo.it] Ho maturato una serie di riflessioni personalissime da proporvi un po' come provocazione un po' come contro-voce alla dialettica di alcuni personaggi a mio parere piuttosto ambigui. Non mi perderò in personalismi sul soggetto di Mattiello (anche se ce ne sarebbero da raccontare di chiacchiere da bar), ma cercherò di lanciarmi entro le mie modeste possibilità in un'analisi di ciò che è Acmos e di perché una vera contro-cultura di sinistra dovrebbe disdegnare questo tipo di associazione. Prego i pedagoghi e gli studenti "politicizzati" di quell'alterità così poco alternativa di seguire il ragionamento senza preconcetti mortificanti. Su più piani si può sviluppare una critica alle contraddittorietà insite in questa forma di associazionismo, per il momento ne circoscriverò (in modo semplicistico) tre. Si può partire dall'intento stesso: Acmos si definisce come un'associazione che si occupa dell'educazione alla cittadinanza attiva. Cosa significa e in che termini si può stabilire cos'è educazione e in cosa consiste il concetto di cittadinanza attiva? E ciò che qui viene chiamata educazione non è forse più simile al disciplinamento? Ma consideriamo un punto per volta e svisceriamo le obbiezioni: come alcuni dei magnificenti pedagoghi di cui sopra potranno insegnarmi risiede una profonda differenza tra il concetto di educazione e quello di disciplinamento, dove in disciplinamento si può considerare come una locuzione particolare di "normalizzazione". In questi mesi abbiamo spesso parlato di "normalizzazione" per quanto riguarda le trasformazioni che sta subendo la scuola e sarà ormai noto a quasi tutti ciò che significa. Per dirla alla cazzo la "normalizzazione" consiste nell'eliminazione della coscienza critica e nell'iper-controllo atto a evitare lo sviluppo del conflitto sociale, quindi nel costruire un cittadino modello, ma a modello di mercato e di capitale. In questo contesto si inserisce (consciamente e in parte subconsciamente se vogliamo essere buoni) il ruolo di Acmos. Il disciplinamento praticato attraverso la cosiddetta scuola di politica (come se la politica potesse essere insegnata) non è altro che il tentativo di incanalare sotto dei binari già prescritti e (appunto) "normalizzati" i possibili militanti e interlocutori del conflitto sociale. Nella scuola di politica intesa da questi arguti (enorme ironia) sociologi non c'è alternativa a questa democrazia direzionale che ormai risponde così poco alle esigenze degli individui (attento bene a non parlar di cittadini!) e così tanto a quelle del mercato. Per loro non c'è alternativa a un sistema di deleghe (che contraddicono quindi la caratteristica "attiva" della cittadinanza) ormai in crisi non solo in Italia, ma in tutto il mondo, tanto che ormai tutti i politologi anche i più reazionari e conservatori parlano di crisi della democrazia. Si insegna un rispetto delle norme assoluto e imperante anche dove le norme di fondo sono contraddittorie non solo con i bisogni dei singoli ma anche col concetto di Stato e statalismo stesso. Tutte le politiche altre (che dalla Rivoluzione Francese in poi sono state le uniche a cambiare la geopolitica e la micro politica sociale dal basso) sono ignorate e considerate scarti da giustiziare. Le vere alternative (e quindi le vere alterità) marcate dal disincanto sociale vengono bollate come diaboliche e criminali solo perché esprimono le necessità ultime e sono veramente capaci di creare dissesto. Ma al di là di questo voglio tornare sul concetto di binario unico e di "normalizzazione" morale e sociale. Queste ale politiche staccatesi dalla destra di un PCI ormai allo sfascio e rientrate subito nelle file del post-comunismo giustizialista hanno assunto come termini unici di scesa in piazza (anche in quelle rare occasioni per modo di dire) la difesa della costituzione e della democrazia, proprio quella democrazia che essendo garante del sistema costituito crea le problematiche contro cui lottano. Quindi o inconsapevolmente sono dei cani (rincoglioniti) che si mordono la coda oppure consapevolmente sono dei bastardi complici di questi meccanismi perversi di riciclo della crisi. Non mi interessa sentenziare a quale delle due categorie appartengano (infondo non so nemmeno quale sia la peggiore) ma trovo disgustoso e in parte arido l'utilizzo che quindi viene fatto della capacità creativa e sociale adolescenziale, in una totale assuefazione alle pratiche dell'arrendevolezza, dell'inserimento produttivo e dell'estraneazione. Quasi un sovietismo autoindotto (che contraddizione!), dove non esiste ribellione ma esclusivamente critica, dove l'unico mezzo di pseudo-protesta è la lettera di "denuncia" (chi ha visto Good Bye Lenin sa cosa intendo) o la discesa in piazza pacifica e sottomessa. Cosa veramente di poco conto per questi intellettualoidi "nuova razza istituzionalista" di una sinistra smangiata e arteriosclerotica. Questa sinistra che schiera i miti (ma quelli commerciali) di Che Guevara vicino alla bandiere della pace facendo un pot-pourri di ideologie e contestualizzazioni storiche diverse e incoerenti tra loro. Mi sono un po' dilungato su questo punto (nonostante questo ciò che ho preso in considerazione è solo una brevissima parentesi di ciò che andrebbe discusso), ma non preoccupatevi ne ho ancora di facezie divertenti (si fa per dire) da raccontarvi. Indi per cui passiamo al secondo punto. Fin'ora ho criticato alcuni aspetti se vogliamo legati alle ideologie (contraddittorie) di cui Acmos si fa bandiera, con la pretesa di educare (pretesa che io personalmente non mi pongo, infatti con questo scritto non ho nessuna intenzione di invasare qualcuno, ma piuttosto di pormi e porvi delle domande e proporvi quelle che sono le mie modeste risposte) adesso invece voglio parlare del sistema interno di Acmos in quanto associazione (in questi termini si svilupperà anche il terzo punto ma su un piano più ideologico e generale). Infatti la così ostentata democrazia all'interno di questa associazione manca del tutto! O almeno manca negli aspetti della partecipazione. Mi spiego meglio: Acmos in realtà è un'associazione dai forti connotati gerarchici e ha un sistema di funzionamento all'interno dei GEC (Gruppi di educazione alla cittadinanza) fortemente personalista. Basti pensare che il nome GEC è stato scelto da Mattiello perché gli piacciono i gechi! (Ok avete ragione avevo detto niente pettegolezzi). Ritornando a noi, le strutture portanti di Acmos sono affidate esclusivamente ai fedelissimi in modo che nessun intervento di esterni possa cambiare la rotta al barcone. Alla faccia della democrazia! Alla faccia della partecipazione! Alla faccia dell'attivismo! Proprio in questi termini si sviluppa una critica (il terzo punto) allo strumento dell'associazione, ormai superato rispetto al concetto di autorganizzazione e quindi di politica veramente dal basso. L'associazionismo si costituisce di se e per se di un modello poco dinamico alle trasformazioni sociali e favorisce in ogni sua espressione l'aspetto competitivo e concorrenziale, individualista nel senso marcio, dove la partecipazione non è altro che la spinta all'arrampicamento sociale anche al di fuori dei meccanismi lavorativi. Ogni associazione vive di un resoconto economico gestito da pochi e da chi per elezione o per maturità (dubbia) all'interno di essa stessa ha quindi il controllo. L'autorganizzazione elimina in tronco qualsiasi di questi problemi e risponde secondo necessità e secondo bisogni alle trasformazioni sociali e alla sensibilità di spostamento del conflitto. Non ha vertici ma solo militanti eguali nel rispetto delle loro esistenziali diversità. La politica dal basso, matura, alternativa, contro e insieme altra, viva, lucente e lucida, formata di una cultura propria svincolata dai termini del mercato e del capitale è questa. Specie in questo momento socio-politico. Specie in queste maree di populismo alla buona e di sentimenti preconfezionati Bauli da borghesotti pietisti.

    Note su Libera: l'associazione "antimafia"

    Come in ogni aspetto dell'analisi sociale degli intellettuali di Acmos e Libera anche nel concetto di mafia e nella conseguente espressione di antimafia c'è una visione banale e folkloristica di ciò che è questo fenomeno e di quale sia il suo genoma evoluto al mondo attuale. Non sono un grande esperto ma mi permetto di fare un paio di considerazioni che credo chiunque con un minimo di ragionamento possa fare. La visione di Libera delle mafie (come ama dire Mattiello, per una volta giustamente, perché la mafia non è una sola ed è tutta intorno a noi) considera questo fenomeno come un fenomeno di caratura esclusivamente sociale (come farebbe un anarcoide, va beh un anarcoide lo farebbe con tutto) evitando di tuffarsi e di certo non a malincuore in quelli che sono gli aspetti politico-economici della questione. Infatti noi corroborati dal vecchio e nuovo marxismo e dall'amore che ancora proviamo per i buoni vini non ci stancheremo mai di affermare che ogni fenomeno di questo genere è strettamente intrecciato con il capitale e con il mercato. Si può affermare in modo un po' semplicistico che le mafie ora come ora siano una fazione estrema e sicuramente la più produttiva del mondo neoliberalista, mondo di cui la democrazia attuale è garante. Democrazia che è difesa da Libera. Ma allora Libera difende i mafiosi? E' un po' troppo iperbolica come visione ma di certo ha del vero. Infatti è evidente a tutti che nell'Italia dagli anni 50 fino ai giorni nostri Stato e Mafia hanno convissuto insieme in simbiosi essendo in tutti i sensi e in tutte le sfaccettature facce della stessa medaglia (il mondo liberale, anche quello progressista) e parassiti reciprochi. Quindi è evidente che non si può distruggere la mafia se non distruggendo (o almeno cambiando interfaccia) il mondo capitalistico. Abbiamo visto (addirittura in Gomorra) come il "Sistema" non sia altro che un'enorme e flessibile e geniale nella sua orribilità azienda post-moderna (anzi iper-moderna). Quindi non è nel cambiare le teste e nel cambiare le coscienze o perlomeno non solo che ci si può definire antimafia. Ma si è anti quando si cerca di sradicare le mafie e per sradicare le mafie bisogna sradicare il sistema di cui il "Sistema" non è altro che un ingranaggio. Sarebbe bello se la mafia sparisse a mattina dopo un lungo volantinaggio e una bella assemblea auto(?)gestita, ma purtroppo non è così ed è da ingenui pensarlo. Ammettendo che lo sostengano davvero! Ammettendo che non siano solo ideali di comodo...

    Curiosità su Peppino Impastato e sul fatto che non centri un cazzo col modo di fare politica di Libera

    Uno dei grandi eroi di cui si forgiano e si sono appropriati (indebitamente, che casualità!) i militanti di Libera è la figura di Peppino Impastato. Tutti voi sapete chi è Peppino senza dubbio e conoscete la sua storia dalle decine di proiezioni a scuola durante le assemblee di istituto dei Cento Passi. Beh forse non sapete che Peppino Impastato veniva da Democrazia Proletaria (lo dice anche nel film) (<>). Democrazia Proletaria era la rappresentanza parlamentare (sotto forma di esperimento) di alcune fazioni movimentiste quali ad esempio Lotta Continua e Potere Operaio. Come molti di voi sapranno queste organizzazioni non erano di certo pacifiche e tantomeno giustizialiste. Per cui i signorotti di Libera evitino di associare una figura come quella di Peppino alle loro battaglie legalitarie e alle loro crociate contro i movimenti antagonisti, di cui a suo tempo Impastato era parte. Almeno non gettino fango sulla tomba dei morti. E' troppo facile fare coincidere il concetto di antimafia col concetto di giustizialismo, ma l'equazione è totalmente errata. Con questa curiosità concludo il mio discorso (anche se è solo una piccola parte di ciò che vorrei esprimere), spero vi abbia instillato dei dubbi piuttosto che avervi dato dei chiarimenti. Almeno la mia intenzione era questaSicuramente ci sono gli elementi per affermare che Libera sia un'associazione perlomeno un po' ambigua.

    Non tutto ciò che brilla è oro, ma molto spesso ciò che puzza è merda...

    Con amore e provocazione, con libertà e ironia
    Joseph Brant