lunedì 30 novembre 2009

Fuori i fascisti dall'università!


Stamattina ennesima provocazione di un gruppi di giovani del PDL che, con bandiera Fuan alla mano (ricordiamo che il Fuan ha origine come sezione giovanile del MSI di Almirante), si è piazzato in fondo all'atrio di Palazzo Nuovo distribuendo un volantino che chiedeva l'aumento di due ore dell'apertura delle segreterie.

Una provocazione, oltre che una presa in giro. Il ministro di questi giovani (e meno giovani) è infatti proprio Maria Stella Gelmini che, tagliando i fondi destinati all'università, la sta lasciando senza risorse per servizi e didattica. Ci sembra paradossale che proprio i militanti del Pdl si presentino in università facendo finta di essere dalla parte degli studenti!

Rispetto ai fatti della mattinata, si è spontaneamente formato un presidio di studenti per contestare questi noti politicanti che, da sempre, si contraddistinguono per il loro spiccato razzismo, diffondendo messaggi d'odio verso i migranti e incentivando una politica d'intolleranza e repressione. Distribuendo volantini, il presidio antifascista con lo striscione "Fascisti su marte" è rapidamente aumentato di numero. I fascisti picchiatori camuffati hanno così dovuto lasciare l'università sommersi da numerosi slogan e protetti, ovviamente, dalla polizia. Infatti, altro elemento purtroppo non troppo insolito, decine di agenti in borghese militarizzavano l'atrio con la celere pronta ad intervenire nascosta nel piano seminterrato dell'università.

Né polizia né i provocatori hanno lesinato calci e pugni agli studenti antifascisti e addirittura consiglieri di circoscrizione, pagati con le nostre tasse, scalciavano come muli... forse volevano imitare l'esempio di un altro illustre deputato schierato con la cinghia in mano contro chi la settimana scorsa contestava la Gelmini?!

Non siamo in uno stato di polizia e l'università deve rimanere un luogo di scambio di saperi libero e non cooptato da forze esterne!

Studenti e studentesse antifascist* di Palazzo Nuovo e Politecnico

domenica 22 novembre 2009

"Fee hike! We strike!" Studenti della California in rivolta, sgomberato campus Berkeley


[www.infoaut.org] Una settimana di fuoco quella californiana, un assedio alimentato dagli studenti e dalle studentesse dello Stato americano contro l'aumento vertiginoso delle tasse universitarie. La lotta, in piedi già da tempo contro la ristrutturazione in atto (vedi occupazioni assemblee etc dello scorso settembre), è ripartita allargando il fronte d'opposizione, chiedendo il reintegro di 38 dipendenti licenziati causa tagli... "Fee hike! We strike!"

Occupazioni delle università, sit-in nelle strade, scontri con la polizia e arresti degli studenti in rivolta hanno immediatamente seguito la decisione del Board of Regents, il consiglio d'amministrazione che governa il sistema californiano delle università di Stato, di aumentare del 32% le rette annuali delle università californiane! I campus di Berkeley e Santa Cruz si sono ancora una volta dimostrati i più combattivi, in una partita che comunque vede attivi anche tutti gli altri college, da Santa Clara a Los Angeles.

Berkeley in rivolta. A Berkeley, giovedì notte, una cinquantina di studenti ha preso possesso di un edificio dell'ateneo, barricandosi all'interno. La mattina dopo in centinaia si sono radunati fuori per portare il loro appoggio all'occupazione, depositando (prima) una montagna di sacchetti pieni d'immondizia davanti al rettorato. Con il passare delle ore la tensione è andata crescendo, la polizia nel tardo pomeriggio è riuscita ad entrare nel complesso ed a sgomberarlo. Ci sono stati scontri tra studenti e polizia, nel tentativo studentesco di difendere l'occupazione. 40 studenti sono stati arrestati, molti sono stati portati in infermeria con ferite e contusioni.

Santa Cruz e altrove. La protesta di Santa Cruz, è cominciata già mercoledì, culminata nell'occupazione di 2 edifici universitari, dove circa 2mila studenti sono rimasti in assemblea permanente. Gli studentio e le studentesse di Santa Cruz richiedono le dimissioni di Mark Yudof, presidente del Board of Regents. Altri arresti sono stati effettuati nel campus di Davis, dove gli studenti hanno occupato l'aula magna e una cinquantina di loro sono stati denunciati per essersi rifiutati di uscire dalla sede dell'amministrazione. A Los Angeles, giovedì sera, centinaia di universitari hanno protestato contro gli aumenti delle rette e un gruppo ha tentato di impedire ai membri del Board of Regents di uscire dalla riunione, dov'era appena stata presa la decisione. Ovviamente il fermento contro l'aumento delle tasse non è questione solo californiana: dalla Florida a New York le tasse sono aumentate del 15 per cento, Michigan e New Mexico hanno già cominciato a tagliare i corsi ed ad alzare gli oneri...

L'esplosione della protesta. Il Board of Regents è costretto a fronteggiare un taglio di fondi statali di 1 miliardo di dollari... quindi sulle soglie della sua bancarotta è deciso di far salire da 7800 a oltre 10mila dollari il costo annuale dell'iscrizione alle università californiane! La decisione è parte di un disegno fatto di tagli ai bilanci interni, di abolizioni di corsi e riduzioni di personale. Nel frattempo agli studenti e alle studentesse si chiedono 2500 dollari in più, un aumento che porta le rette universitarie a raggiungere il triplo di 10 anni fa!

Wave International. E' quanto mai semplice guardare all'America, a quel che sta avvenendo in termini di ristrutturazioni universitarie, come problematica assolutamente condivisa con quanto abbozzato e implementato altrove, soprattutto dal processo di Bologna in poi in Europa (ma non solo). Aumento delle tasse universitarie, indebitamento studentesco, disciplinamento alla precarietà, negazione di futuro. Queste la radici comuni di un disegno politico internazionale, contro il quale si sta battendo e scontrando un International Wave! E si guardi anche al di là delle lotte degli studenti e dei precari degli Usa e dell'Italia, lo stesso avviene in Grecia, in Austria, in Germania! We won't pay for their crisis!

Vedi anche:

venerdì 20 novembre 2009

Chiediamo cambiamenti, ci danno polizia


Oggi, 20 novembre 2009, circa 200 studenti medi e universitari si sono radunati a palazzo nuovo dalla mattina per contestare la presenza del ministro Gelmini nella nostra città. Erano presenti giovani di diverse scuole superiori e studenti dell’università e del politecnico. Il primo dato della giornata è stato il tentativo del ministro di mantenere il segreto su ogni suo spostamento, fatto che dimostra l’estrema impopolarità delle sue politiche, dei suoi tagli e delle sue riforme, che producono contestazioni in tutta Italia, come è avvenuto il 17 novembre, e rendono la sua presenza sgradita a studenti, insegnanti e precari in ogni città.

Il tour gelminiano è iniziato da Rivoli, dove il ministro è andato a cercare i flash dei fotografi per un puro risvolto di immagine; in realtà sappiamo bene di chi sono le responsabilità della morte di Vito, cioè precisamente di chi rende impossibile, con i tagli e l’attacco alla scuola pubblica, una reale manutenzione degli edifici scolastici. Non basterà certo dare a Vito il nome di una scuola per riparare il crimine di chi mette a repentaglio giorno per giorno le vite degli studenti.

Il presidio studentesco si è mosso verso le 13.00 verso il Miur, dove era annunciata la presenza del ministro, che non si è fatto vedere. Dopo una breve occupazione degli uffici del ministero contro tagli e riforma dell’università – un ddl che svende l’università ai privati e diminuisce gli spazi di democrazia negli atenei – un corteo si è diretto alla sede del Pdl, dove era prevista una tappa della Gelmini. Qui si è avvicinato all’ingresso per portare la contestazione alle politiche del ministro e del suo partito, ma è stato aggredito da alcuni esponenti del Pdl con pugni e cinghie. Tra loro spiccavano il consigliere Ravello, Malan e il poco onorevole Ghiglia, sempre in cerca della provocazione e della rissa per attaccare gli studenti che contestano le loro politiche. Non ci stupiranno le loro sicure strumentalizzazioni.

Dopo l’aggressione di Ravello e Ghiglia, quest’ultimo armato di cinghia nell’atto di gridare “io non vi picchio, io vi sciolgo nell’acido” (wow! Le “istituzioni”…), giungevano sul luogo una ventina di agenti della celere che, correndo, verso il portone, spingevano gli studenti nell’androne del palazzo e iniziavano a manganellare e a prendere a calci studentesse e studenti (e persino qualche giornalista), alcuni ai primi anni del liceo, nello sconcerto generale. L’ennesima dimostrazione del fatto che in questo paese – si pensi agli arresti di Milano a danno di studenti medi e universitari – non è più possibile il dissenso studentesco: l’unica risposta del governo e del ministro è la violenza. Anche in questo caso la Gelmini non si è fatta vedere.

Dopo questo episodio un corteo anche più numeroso ha raggiunto la Fondazione S. Paolo per la Scuola in via Lagrange, dove secondo fonti giornalistiche il ministro avrebbe fatto tappa, ma anche qui ha dato forfait. Il bilancio della giornata è quindi quello di un ministro fantasma, che fugge gli studenti – che fanno comodo, evidentemente, solo da morti – di politici locali cinquantenni di destra armati di cinghia contro i liceali, di cariche folli e indiscriminate contro gli studenti, con un bilancio, tra di noi, di diversi feriti.

CHIEDIAMO CAMBIAMENTI CI DANNO POLIZIA
QUESTA E’ LA LORO DEMOCRAZIA

Studentesse e studenti medi, dell’Università e del Politecnico contro il ministro Gelmini

L'Onda rilancia!


[20 novembre _ assemblea nazionale dell'Onda a La Sapienza]

Oggi 20 Novembre una grande assemblea di precari e di studenti, provenienti da tutta Italia, si è riunita alla Sapienza per rilanciare - a partire dalle molteplici iniziative di lotta organizzate in questi mesi nei vari atenei e scuole - un percorso ampio di mobilitazione che rimetta al centro la lotta contro il progetto di dismissione dell'università e che rivendichi un nuovo sistema di garanzie sociali all'altezza delle sfide poste dall'attuale mondo del lavoro. Ad un anno di distanza dall'esplosione dell'Onda, siamo ancora fermi nel nostro rifiuto della crisi economica: noi la crisi non la paghiamo, vogliamo fin da subito riappropriarci del nostro futuro e della ricchezza sociale che ci viene quotidianamente sottratta.

Per queste ragioni chiediamo, in primo luogo, il ritiro immediato del DDL Gelmini - presentato mediaticamente come disegno "innovativo" di riforma dell'Università - che rappresenta palesemente un progetto di riproposizione e cristallizzazione di tutti gli elementi negativi del sistema universitario, denunciati più volte dal movimento dell'Onda:

- non risolve in nessun modo il problema della precarietà né del ricambio generazionale - come propagandato dal Governo - aumentando, invece, il fossato tra tutelati e non tutelati, tra chi è dentro e chi è fuori dal sistema di garanzie sociali;

- non interviene sulla governance degli atenei per innovarla, ma per chiudere i già irrisori spazi di democrazia e partecipazione delle differenti componenti accademiche e consolidare e rafforzare il potere delle corporazioni responsabili del fallimento dell'università pubblica negli ultimi 30 anni;

- indebolisce ulteriormente il diritto allo studio, chiedendo agli studenti di indebitarsi "all'americana" attraverso lo strumento del prestito d'onore, mentre la crisi globale - che mostra il fallimento di un sistema fondato sull'indebitamento - richiederebbe una netta inversione di tendenza e di maggiori investimenti per garantire a tutti l'accesso ai livelli più alti dell'istruzione superiore;

- completa il processo di de-strutturazione e riduzione dell'Università pubblica prefigurando, quindi, un'università complessivamente più piccola, che non risponde alla domanda di maggiore conoscenza e competenze che il nostro paese dovrebbe considerare centrale per le proprie politiche di sviluppo; con l'entrata dei privati negli organi di governo si regalano gli atenei ai poteri locali, senza che questi diano nessun contributo alla crescita dell'università;

- restituisce alle lobby accademiche il controllo sui concorsi, senza incidere sulle pratiche clientelari e mettendo in competizione i precari e gli attuali ricercatori; servirebbe, invece, un piano straordinario di reclutamento, con un numero consistente di concorsi che diano opportunità reali a chi garantisce il funzionamento quotidiano della didattica e della ricerca nei nostri atenei;

- nasconde il progetto di smantellamento selettivo dell'università dietro il paravento della valutazione dei meriti individuali; tuttavia, non si può far finta di non sapere che precarietà e ricattabilità rendono impossibile una valutazione trasparente delle capacità delle persone; la valorizzazione del merito non può prescindere da un serio investimento (anche e soprattutto economico) sulla qualità della didattica e della ricerca e sulla garanzia di autonomia sociale di chi studia, di chi insegna e di chi fa ricerca nelle università.

In assenza di tali garanzie, nel contesto Italiano, l'insistenza da parte governativa sul merito si risolve in uno strumento di ulteriore ricatto per i precari. La retorica dell'efficienza e della meritocrazia altro non è che uno strumento per dequalificare ulteriormente il sapere, per stratificare e declassare la forza lavoro.

Specularmente, il taglio dei finanziamenti per la scuola contenuto nella legge 133 di 8 miliardi di euro e la legge 169 con la cancellazione delle compresenze e del modulo determinano un netto peggioramento della qualità della didattica e producono migliaia di licenziamenti. A questo si aggiunge il progetto di legge Aprea che, se approvato, porterebbe l'ingresso dei privati nelle scuole e sarebbe causa di una assurda gerarchizzazione della classe docente con la repressione della libertà di insegnamento e dell'autonomia dei docenti. Allo stesso modo, la volontà di aziendalizzare la scuola uccide l'emancipazione culturale degli studenti. Il protagonismo del movimento dei precari della scuola, dei genitori e degli studenti di questi ultimi mesi si salda naturalmente con la lotta che parte dalle università per costruire una grande risposta unitaria di tutto il mondo della conoscenza contro l'attacco mosso da governo.

In un contesto di forte crisi sociale e produttiva, l'investimento politico ed economico sulla Scuola, sull'Università, le Accademie, i Conservatori e sulla Ricerca come beni comuni dovrebbe essere il principale strumento per il rilancio del paese, fondato sulla qualità della vita delle persone e che sappia andare oltre i limiti del modello fallimentare imposto dall'attuale classe dirigente ed imprenditoriale. L'attacco alla Scuola e all'Università al quale stiamo assistendo è parte di un'aggressione più generale, tanto più anacronistica proprio perché cade nel pieno del fallimento delle politiche di smantellamento dello stato sociale condotte negli ultimi tre decenni.

Non è un caso se l'Onda ha fatto breccia nell'immaginario: ha saputo, infatti, esprimere i bisogni e i desideri di una nuova generazione. La generazione dell'Onda ha mostrato, nel cuore della crisi globale, che in una società della conoscenza l'accesso pubblico all'università e la qualità del sapere, sono degli elementi di nuova e piena cittadinanza. Oggi, alla luce del nuovo progetto di riforma e assunto il definitivo fallimento del modello del 3+2, pensiamo sia ancor più centrale riaprire, in tutti gli atenei, la lotta per l'accesso e per la qualità del sapere, per l'abbattimento delle forme di blocco, di selezione e di segmentazione dei percorsi formativi (numeri chiusi, test d'ingresso, percorsi d'eccellenza), per la rivendicazione di spazi di decisione sulla didattica e sulla ricerca e di autogestione dei percorsi formativi.

Scuola, Università, Accademie, Conservatori e Ricerca sono parte di un modello innovativo di welfare che sappia rispondere alle attuali forme di sfruttamento. La continuità del reddito, l'accesso alla casa e alla mobilità sono bisogni ormai imprescindibili. Solo rispondendo al problema della precarietà di chi studia e lavora nei luoghi della conoscenza con la definizione di un nuovo welfare, si oppone una risposta al governo che non sia corporativa, ma che sappia parlare all'intera società e attraversarla. Per queste ragioni riteniamo decisivo rilanciare nelle prossime settimane una campagna, in tutte le città, per rivendicare forme di erogazione, diretta ed indiretta, di reddito per gli studenti e i precari, che vada nella direzione del rifiuto delle forme di precarizzazione.

Per questo, da oggi, studenti e lavoratori precari lanciano una vera e propria campagna di mobilitazione che unifichi le lotte portare avanti nelle scuole e nelle università e che, a partire da questa Assemblea nazionale, abbia il passo abbastanza lungo da mettere in discussione il percorso di questo DDL e porre all'ordine del giorno nazionale l'elaborazione di un nuovo sistema di welfare all'altezza delle sfide della società della conoscenza.

Si propone di:

- organizzare iniziative di mobilitazione sui territori, in forme molteplici, il 2 dicembre;

- in occasione dell'11 dicembre vogliamo generalizzare lo sciopero e assediare il Ministero, a partire dalla mobilitazione già lanciata dai coordinamenti e dai precari delle scuole e dai sindacati;

- assediare il Parlamento in concomitanza con il calendario di discussione e votazione del DDL;

- organizzare una grande manifestazione nazionale a Roma a inizio marzo che, partendo dalla difesa e dal rilancio dal mondo della conoscenza, coniughi la necessità di eliminare la precarietà lavorativa ed esistenziale con il contrasto delle migliaia di licenziamenti giustificati pretestuosamente con la crisi rivendicando un nuovo sistema di welfare fondato sulla continuità di reddito per tutti, l'accesso alla mobilità alla casa e ai servizi.

Assemblea nazionale dei precari e degli studenti

giovedì 19 novembre 2009

Wave international: "fabbriche del sapere" in lotta


[www.infoaut.org] Solo l'altro giorno la nuova dirompente discesa in piazza degli studenti e delle studentesse dell'Onda nel nostro paese, Torino Milano e Napoli gli epicentri della mobilitazione contro la riforma Gelmini. Ma anche altrove si manifesta il fermento nelle scuole e nelle università, non solamente in Grecia e Austria dove nell'ultimo mese hanno preso le occupazioni e i cortei, ma anche in Germania e negli Stati Uniti. Nel cuore dell'Europa, dopo le straordinarie mobilitazioni dello scorso anno, dentro le quali si decise di occupare i ministeri simbolo della privatizzazione e del declassamento del mondo della formazione, in almeno 50mila sono tornati in piazza (il 17 novembre) per opporsi al disegno principe della ristrutturazione in atto a livello europeo (ma non solo). Oltre l'Atlantico, negli Stati Uniti d'America, seguendo il corso delle mobilitazioni ri-esplose negli atenei americani, che hanno visto, oltre le partecipate occupazioni e assemblee, l'elaborazione di discorso contro la crisi ma anche per la costruzione di un'università altra, si è imbastita una vincente mobilitazione contro la Russell Athletic, in connessione con la lotta dei lavoratori licenziati in Honduras, che hanno ottenuto il loro reintegro. Pubblichiamo di seguito 2 articoli che raccontano delle mobilitazioni universitarie negli Usa ed in Germania.

Russell rinuncia ai licenziamenti, hanno vinto gli studenti

[da www.rainews24.it] "Abbiamo vinto! E siamo sulla homepage del New York Times!". Il sito della United Students Against Sweatshops (Usas, Studenti uniti contro le "fabbriche del sudore") trasuda soddisfazione. E come dargli torto: Russell Athletic, una delle più note case di produzione di abbigliamento casual e sportivo degli USA, ha ceduto, annunciando il reintegro di 1200 lavoratori licenziati in Honduras.

New York - "Abbiamo vinto! E siamo sulla homepage del New York Times!". Il sito della United Students Against Sweatshops ( Usas, Studenti uniti contro le "fabbriche del sudore") trasuda soddisfazione. E come dargli torto: Russell Athletic, una delle più note case di produzione di abbigliamento casual e sportivo degli USA, ha ceduto, annunciando il reintegro di 1200 lavoratori licenziati in Honduras.

La storia, raccontata dal NYT e ripresa da altri media americani, mostra ancora una volta come una forte mobilitazione possa vincere anche l'asprezza dei colossi dell'economia globalizzata. Nello scorso gennaio, Russel Athletic reagisce alla sindacalizzazione dei lavoratori di una fabbrica honduregna comunicando che da quel momento in poi le sue felpe e le sue magliette le avrebbe fatte cucire a qualcun altro. Ma dall'Honduras la notizia arriva via web in America, dove associazioni di studenti fanno propria la battaglia dei lavoratori honduregni per riavere il loro posto di lavoro.

Nasce una catena di solidarietà che attraverso email, Facebook, sms, porta alla mobilitazione di centinaia di giovani in tutti i maggiori atenei universitari americani. La Usas inizia a premere sulle autorità dei campus e gli amministratori del Boston College, di Columbia, Harvard, New York University, Stanford, e di ben 49 college si convincono che sì, hanno ragione i ragazzi: se Russell Athletic non ci ripensa, mette a rischio i contratti di fornitura in esclusiva con le università.

In ballo ci sono le maglie delle squadre di basket, di calcio, di baseball degli atenei, le felpe con il nome dell'università, una delle icone dei campus americani. E soprattutto, milioni di dollari.

Gli studenti non si fermano, portano la loro protesta contro Russell anche alle finali NBA a Orlando e Los Angeles, su Twitter un micidiale passa parola invita tutti a boicottare i prodotti Russell se in Hoduras non arriverà la notiza di un ripensamento. E perfino Warren Buffett si ritrova degli universitari sulla porta di casa, a Omaha, perché una sua società, la Berkshire Hathaway, ha azioni della Fruits of the Loom, affiliata della Russell.

Assediata da mesi, alle prese con il rischio di un evidente svilimento del marchio, associato a delocalizzazione e mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, quest'ultima alla fine si piega: "Riassumiamo i 1300 in Honduras", è l'annuncio che arriva la settimana scorsa e che alla Usas attendevano da mesi.
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Universitari in piazza in 50 città contro il «Piano Bologna»

[da www.ilmanifesto.it] «No al terrorismo di test, piani di studio e limiti di accesso ai master nella fabbrica del sapere»

Berlino - In diverse città tedesche 50mila studenti hanno disertato le lezioni. Chiedono piani di studio meno rigidi nei corsi di laurea brevi (bachelor), la liberalizzazione dell'accesso ai corsi di approfondimento (master), l'abolizione delle tasse di frequenza introdotte nei Länder democristiani. Le dimostrazioni maggiori si sono svolte a Berlino, con più di diecimila studenti in corteo, e a Monaco. L'agitazione è cominciata la settimana scorsa con l'occupazione delle aule magne delle università, e ieri si era estesa a circa 50 città. Due altri appuntamenti in calendario. Martedì prossimo gli studenti si faranno sentire a Lipsia per la conferenza dei rettori. E il 10 dicembre «assedio» alla conferenza dei ministri dell'istruzione dei Länder a Bonn: scuola e università sono in Germania competenza delle regioni, e la frammentazione federalista rende complicata ogni riforma.

Gli studenti non cominciano da zero. Le loro rivendicazioni erano già state al centro di un grosso Bildungstreik (sciopero della pubblica istruzione) il 17 giugno scorso, con più di 200mila studenti nelle piazze di 70 città tedesche. Da allora è rimasta una rete di contatti e di organizzazione, a cui rifarsi. Oggetto del contendere resta il «Processo di Bologna». Il riferimento è alla dichiarazione firmata dieci anni fa nella città italiana da 30 stati, con l'intento di armonizzare i piani di studio in Europa secondo la scansione bachelor-master. Per i bachelor l'accento cadeva sulla employability, ovvero l'orientamento su profili professionali «impiegabili» sul mercato del lavoro.

In Germania spesso è successo che i vecchi contenuti fossero concentrati in sei semestri (tre anni), con uno spezzettamento in «moduli» per ogni capitoletto del sapere, una moltiplicazione di esami e test, obbligo di frequenza. L'università, dicono i critici, si è «scuolizzata», senza che aumentassero le strutture didattiche, né il personale docente. Manca l'agio di guardarsi intorno oltre gli specialismi, e l'opportunità di scegliere cosa approfondire. «Contro il terrorismo dei test nella fabbrica del sapere», recitavano gli striscioni al corteo di ieri a Berlino, oppure «Libertà anche per gli studenti da batteria». L'obiettivo di rendere compatibili i piani di studio non è stato raggiunto. Sembra anzi che ora sia più difficile in Germania passare da un'università all'altra. Manca il tempo per soggiorni di studio all'estero. Né i «baccellieri» trovano subito un posto di lavoro. Molti vorrebbero proseguire con un master, ma i posti di studio sono meno delle richieste, e riservati solo a chi abbia ottimi voti.

A ottobre la conferenza dei ministri regionali dell'istruzione ha deciso di «valutare» se non convenga ritoccare qua e là l'applicazione della riforma. La durata del bachelor potrebbe essere prolungata a sette o otto semestri, per consentire più flessibilità. Ma finora nulla è cambiato. E «Bologna», con gran scorno dei manager del turismo nostrano, continua a essere in Germania sinonimo di caos e decadenza culturale.

mercoledì 18 novembre 2009

Blitz all'Unione Industriale di Torino: "Banche e aziende non ci meritano!"


[www.colpo.org] Interrotta all'Unione Industriale di Torino la "tavola rotonda" di banchieri e industriali accompagnati dal sindaco Chiamparino sull'università, il merito e le imprese.

Un gruppo di studenti è salito sul palco con uno striscione con su scritto: "Banche e aziende NON CI MERITANO!"

Sono stati lanciati volantini ed è stato fatto un intervento sul palco per far capire ai signori industriali che gli studenti non accettano di assistere alla colonizzazione delle università da parte del privato, allo smantellamento dell'università pubblica anche in nome di valori pretestuosi perché inseriti nello scenario universitario italiano di oggi come di domani, dove studenti e atenei saranno alla mercè di interessi baronali e consigli di amministrazione esternalizzati.

martedì 17 novembre 2009

Rettorato occupato!


Nel corteo di oggi, 17 novembre 2009, migliaia di studenti hanno sfilato pacificamente per le strade di Torino. Questa è la risposta al nuovo DDL Gelmini. A conclusione del corteo i partecipanti stanno occupando il Rettorato, dove si sta svolgendo un'affollatissima assemblea. Studenti e studentesse di Torino non hanno intenzione di lasciare il rettorato fino a quando il Rettore non prenderà atto della minaccia cui l'istruzione pubblica è sottoposta. Una minaccia che, dietro la retorica della meritocrazia, intende privatizzare il sistema universitario italiano.

Questo disegno di legge, infatti, mette in chiaro tutti i capisaldi ideologici che hanno segnato gli interventi dell'Esecutivo nel campo delle riforme universitarie a partire dalla legge 133/08.

Il futuro del sapere sarà, se non cambia la direzione, un privilegio di chi potrà permetterselo. Riteniamo quindi un dovere morale di ogni cittadino, cosciente della propria vita pubblica, unire la propria voce alla nostra per gridare che, in questo momento di crisi profonda, la strada da seguire punta in direzione del pubblico.

Nelle camere legislative, nei prossimi mesi, non si discuterà semplicemente della natura e dell'organizzazione di un'istituzione accademica ma ad essere messo in discussione sarà il nostro futuro.

Per queste ragioni oggi gli studenti di tutta Italia sono scesi in piazza e continueranno a lottare per impedire che questi provvedimenti vengano adottati. Oggi il Rettorato, domani l'Italia. Non facciamola nascere!

Domani ore 10 al Rettorato ci sarà il primo Senato Studenti della nuova era: facciamolo finalmente diventare un Senato degli studenti e delle studentesse e non dei rappresentanti, a partire da oggi con l'occupazione del Rettorato. Inizia una nuova storia!

Occupanti del rettorato dell'universita' di Torino

Riforma Gelmini: bloccarla è possibile, e tocca a noi!


domenica 15 novembre 2009

Crisi e lotte sull’altra sponda dell’Atlantico


di Gigi Roggero per Uniriot

La canicola, si sa, è il momento migliore per i provvedimentiimpopolari. Così, l’amministrazione della University of California (UC) ha approfittato dei mesi estivi per approvare un programma di aumento delle tasse, licenziamenti, taglio di classi e dipartimenti. Ma questa volta non si tratta di una semplice astuzia del governo pubblico: la crisi sta travolgendo gli atenei degli Stati Uniti, che già da tempohanno cominciato una feroce riduzione dell’organico e delle strutture. 

La risposta è ormai nota: l’occupazione dell’università per combatterequello che studenti e precari sostengono essere il risultato delprocesso di privatizzazione della UC (www.edu-factory.org). Insomma,l’autunno delle università americane è già più caldo dell’estate. Escequindi al momento giusto il numero 21 di “Polygraph”, rivista dicultura e politica gestita dagli studenti di Ph.D del dipartimento diletteratura della Duke University – altra istituzione in cui il ventodella crisi spira forte. Il volume, frutto di una discussionecollettiva avviata nel 2007 con un convegno sul “collasso del saperetradizionale”, è infatti dedicato a Study, Students, Universities.

Nell’introduzione Luka Arsenjuk e Michelle Koerner, curatori del numero, mettono a fuocol’obiettivo: dentro le trasformazioni dell’università, siti diffusi di produzione di conoscenza negli ingranaggi della valorizzazionecapitalistica, bisogna afferrare l’emergenza di una nuova figura dellostudente. Essendo ormai a tutti gli effetti un lavoratore, comeevidenzia Marc Bousquet, vanno comprese le sue forme di soggettivazionee agire politico.

Solo seguendo il filo rosso della pratica di autonomiadell’organizzazione, sostiene Renaud Bécot, è possibile sottrarre ilSessantotto dalla morsa in cui l’hanno stretto l’attacco reazionario ela vuota memorialistica. Come si può, allora, lottare dentro i processidi “finanziarizzazione della vita studentesca” di cui parla MorganAdamson descrivendo il sistema del debito? Per Christopher Newfield larisposta è la riaffermazione del pubblico. Già nel suo prezioso Unmaking the Public University: the 40 Year Assault on the Middle Class(Harvard University Press, 2008), Newfield mostrava come la retorica dell’eccellenza privata si sia alimentata con i soldi e le risorse pubbliche. D’altro canto, proprio i processi di finanziarizzazionesembrano alludere a una progressiva indistinzione dei due termini: lacomune situazione e le politiche delle università travolte dalla crisilo evidenziano efficacemente.

Dunque, se l’appello al pubblicosi risolve spesso nel richiamo all’interesse generale della societàcivile, è opportuno mettere tale categoria in tensione con quella dicomune, su cui si soffermano Isaac Kamola ed Eli Meyerhoff a partire dalle esperienze di resistenza e di autoformazione nella University of Minnesota. Non è questione nominalistica o di suggestione concettuale,ma squisitamente politica: se da un lato si corre il rischio disciogliere le differenze – innanzitutto quella di classe –nell’immagine dell’universale, ovvero dello Stato, dall’altro il temastrategico posto dai movimenti di studenti e precari è l’organizzazione della propria potenza cooperativa autonoma.

Non per trovarepratiche al riparo dalla governance descritta da Stefano Harney e FredMoten, perché – si afferma nell’introduzione – qui davvero “non c’è piùun fuori”; piuttosto, per rompere la cattura agita dalla corporateuniversity e produrre nuove forme istituzionali. Per dirla piùchiaramente, per riappropriarsi e decidere in comune della ricchezzacollettivamente prodotta. L’occupazione della UC dimostra come questitemi siano ormai incarnati nei conflitti. E attorno al nodo di chi pagala crisi si sta già producendo una grande esplosione nelle università americane.

venerdì 13 novembre 2009

Occupato il Miur, il 17 novembre corteo no Gelmini!

Blocchiamo la Gelmini!


A fronte del via libera da parte del Consiglio dei Ministri del nuovo ddl di riforma dell’Università, il 28 Ottobre, ci troviamo nella contingenza di stendere delle linee critiche sugli intenti dell’iniziativa governativa. Le riflessioni che seguiranno sono frutto di discussione e dibattito di un'assemblea di studenti tenutasi a Palazzo Nuovo martedì 10 novembre.

Il ddl riorganizza la governance di ateneo, in particolare il C.d.A assumerà le funzioni di indirizzo strategico, di programmazione finanziaria e sarà composto per almeno il 40% da esterni all’università. Spariranno le facoltà (e i relativi consigli) e la didattica sarà organizzata dai dipartimenti.

Saranno possibili federazioni tra atenei o tra atenei ed altri enti di formazione.Viene istituito un fondo per il merito, che erogherà borse di studio e prestiti d’onore tramite delle prove nazionali standard. Per accedere alla docenza sarà necessario ottenere una abilitazione nazionale, la cui commissione giudicante sarà composta da docenti ordinari. Chi deciderà dell’effettiva assunzione saranno delle commissioni di professori ordinari istituite dai singoli atenei. La figura del ricercatore sarà unicamente a tempo determinato, il contratto sarà di 3 anni rinnovabile per altri 3, al termine dei quali o il ricercatore accede al rango di professore associato o dovrà terminare il rapporto con l’università.

In termini generali, questo provvedimento si inserisce in una successione di riforme che negli ultimi anni si sono concentrate sulla riorganizzazione dell’università e sulla sua successiva dismissione dal settore pubblico. Rispetto agli intenti che questo governo aveva dichiarato in merito all’università, ovvero un forte attacco al baronato unito alla volontà di rendere gli Atenei produttivi ed efficienti, ci sembra che, nel complesso, questo ddl lasci inalterata la gestione feudale e agevoli piuttosto l’entrata di aziende e privati con un ruolo parassitario.

Governance

Vediamo in maniera ambivalente la riorganizzazione progettata dal governo. Un primo aspetto è l’evidente volontà di ridurre fortemente l’investimento pubblico per il sistema universitario, probabilmente per far fronte alla crisi e ad un debito pubblico ormai esploso, che si accompagna ad una verticalizzazione del potere negli atenei finalizzato a poter applicare speditamente i pesanti tagli previsti, in particolare a scapito di ricercatori precari, esternalizzati e studenti. Gli spazi di democrazia all’interno dell’università, già insufficienti, vengono completamente eliminati.

Ma l’aspetto più importante è l’entrata dei privati nel C.d.A, l’organo che avrà maggior potere all’interno degli atenei. In un paese come l’Italia, in cui non è mai stato presente un vero investimento nella formazione da parte del settore privato, la privatizzazione dell’università passa attraverso la presenza delle aziende nei posti di potere degli atenei senza che sia necessario alcun investimento. Creando quindi una commistione di pubblico e privato che poco ha di positivo per chi vive, e fa vivere, l’università ogni giorno, ma promette una veloce rendita in termini di forza lavoro cognitiva formata ad uso delle aziende presenti in C.d.A .

Ambivalenza si ritrova anche sul tema delle federazioni. Possibilità da sfruttare per ridurre, razionalizzare e tagliare ma, ancora una volta, creazione di ibrido pubblico-privato. Infatti gli atenei potranno federarsi anche con « [..] enti ed istituzioni operanti nel settore della ricerca e dell’alta formazione», quindi anche con agenzia di formazione non pubbliche. Ricordando che questo governo ha come obiettivo l’abolizione del valore legale del titolo di studio, ci sembra che questo punto vada proprio in quella direzione. Enti più affermati e accreditati permetteranno alle università federate di offrire un titolo di studio con più valore rispetto ad altri. L'orizzonte che si vuole creare e quello di un mercato della formazione egemonizzato da pochi grandi poli.

Meritrocrazia 

Una sezione del ddl è dedicata all'introduzione di norme atte a favorire un sistema meritocratico dell'istruzione universitaria. Il principio è semplice: dobbiamo ridurre i costi e allo stesso tempo incentivare gli studenti meritevoli e virtuosi e allora solo i migliori potranno andare avanti. In realtà, nella riforma si parla solamente dell'istituzione di un fondo di merito da gestire a discrezione del Ministero (quello dell'Economia e delle Finanze, non quello dell'Istruzione!) e sostanzialmente non ci sembra introdurre pesanti cambiamenti. Anche perchè la meritocrazia costa e non è nemmeno pensabile se la prima preoccupazione è gestire i tagli dell'anno scorso e non far «derivare nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica». Inoltre come si può conciliare un discorso di risparmio tramite cui spariscono i servizi minimi per gli studenti (case, mense, libri...) con il diritto allo studio?

Detto questo, la retorica della meritocrazia è presente in questo ddl così come in ogni discorso di ogni ispirato riformatore dell'università. Ci sembra allora il caso di demistificare questo linguaggio e mostrare, molto brevemente, cosa vi si nasconde dietro.

E' evidente, allora, che laddove si parla di meritocrazia bisogna sempre intendere nuovi sbarramenti o colli di bottiglia, atti a limitare gli studenti che seguiranno questo o quel percorso formativo. Laddove si parla di criteri per stabilire il merito, bisogna intendere che questi criteri, lungi dal misurare effettivamente una reale dinamica virtuosa sulla qualità dei saperi prodotti e trasmessi, sono a tutti gli effetti criteri aziendalisti, che determineranno tempi e percorsi di vita degli studenti, misurandone di volta in volta l'efficenza all'intermo di schemi produttivi. Ancora, laddove si parla della creazione di percorsi di eccellenza, bisogna intendere la recinzione dei già esistenti percorsi di studio, limitandone e rendendone talvolta esclusivo l'accesso. Si può dire che la meritocrazia non è altro che uno strumento in più per gestire i pochi fondi destinati all'università e alla ricerca ma, è meglio ribadirlo, non nella direzione di sviluppare un sistema di scambio e produzione cognitiva di alto livello, bensì nella direzione di gestire e differenziare i flussi di studenti, incanalandoli nei percorsi formativi che sembreranno più forieri di profitti. Ovvero si tratta di poter fare delle previsioni aziendali sulla testa di migliaia di persone, per vedere quanti dovranno studiare un argomento, quanti dovranno arrivare a un determinato livello di studio, quanti avranno diritto a borse di studio, quanti avranno diritto (sigh!) a indebitarsi con il prestito di merito per conseguire l'agognato titolo di studio. Insomma, è bene rendere chiaro questo punto: ci sembra che dietro la logica della meritocrazia non ci sia nessuna attenzione alla valutazione qualitativa dei saperi trasmessi all'interno degli atenei, ma soltanto un profondo interesse a introdurre elementi di quantificazione all'interno del mercato formativo in modo tale da rendere possibile il profitto privato e la speculazione. In ultima lettura dobbiamo dire che al linguaggio della meritocrazia come introduzione di schemi aziendalistici e quantitativi non abbiamo altro da opporre che la qualità dei nostri percorsi di studio.

Attenzione: la qualità dei nostri percorsi di studio, non è da intendere come la qualità degli attuali corsi universitari, tutt'altro! Non difendiamo l'università in cui ora viviamo, questo regno feudale pieno di privilegi per pochi e che oramai è in crisi. I nostri percorsi di studio sono da intendere come le dinamiche di trasmissione e produzione cognitiva che sono scaturite, ad esempio, dalla mobilitazione dell'anno scorso, i seminari e i momenti di dialogo che l'Onda ha saputo costruire, la capacità che abbiamo, individualmente ma sopratuttto attraverso la cooperazione collettiva, di reperire informazione e costruire discorso, l'innovazione dei linguaggi di cui tutti quanti siamo protagonisti. Insomma, se c'è da trovare la qualità all'interno degli atenei è solo una coincidenza che si trovi nelle stesse aule e negli stessi corridoi dell'accademia, perchè quella qualità è frutto della cooperazione di centinaia di migliaia fra studenti e ricercatori al di fuori dei normali percorsi di formazione, in maniera del tutto eccedente rispetto a questi. Questa qualità, in ultima istanza, è il pubblico che difendiamo, ovvero il sapere come produzione comune e bene che non si lascia risucchiare a tutti i costi dalle logiche del profitto.

Reclutamento, precarizzazione 

Con questa riforma, inoltre, cade ogni speranza di veder debellato il potere baronale e di una migliore prospettiva per assegnisti e ricercatori precari. Il meccanismo per accedere alla docenza vede un livello nazionale ed uno locale totalmente in mano al potere baronale, la prospettiva di un ricercatore è quindi, ancora, quella di assoggettarsi a tale potere, pena il non rinnovo del contratto o la non abilitazione alla docenza. I problemi che i ricercatori precari affrontano tutti i giorni non sono toccati. Per un verso, nessuna delle proposte elaborate in questi anni dai precari viene assunta, e resta la giungla di contratti precari che caratterizzano l'università attuale (gli assegni di ricerca, le borse di studio, i contratti di docenza e altro), con la ratificazione dei contratti di docenza gratuiti.

Per un altro verso si riduce lo spazio per la ricerca e si consolida la tendenza alla liceizzazione dell'università pubblica, in cui il compito prevalente delle figure “stabili” sarà la didattica.

I baroni possono dunque rallegrarsi delle «norme in materia di personale accademico e riordino della disciplina concernente il reclutamento». L’istituzione dell’“abilitazione scientifica nazionale” per i docenti di prima e seconda fascia, di durata quadriennale, è decisa da una commissione nazionale formata mediante sorteggio tra professori ordinari. Ciò che viene fatta passare per una norma che scavalca le lobby accademiche locali, non solo lascia l’“abilitazione” nelle mani delle cricche degli ordinari a livello nazionale, ma poche pagine più avanti (articolo 9, comma 2, lettera c) fa rientrare dalla finestra ciò che era apparentemente uscito dalla porta. La decisione finale, infatti, spetta alle commissioni locali composte da ordinari e, nel caso dei ricercatori, da alcuni associati. Il posto da ricercatore, poi, come già stabilito dalla legge Moratti nel 2005 è posto in esaurimento, quindi sostituito da contratti di soli tre anni rinnovabili – previa valutazione – un’unica volta, aumentando così la ricattabilità dei ricercatori stessi nel vincolo individuale con il docente di potere.

Ancora una volta, dunque, le campagne stampa che parlano di abolizione del precariato sono chiaramente demagogiche: questa riforma il precariato della ricerca lo moltiplica all'infinito! Per di più, la riforma promette solo tagli e non è previsto alcun incremento di fondi: non si capisce quindi con quali soldi si potranno assumere i ricercatori a tempo determinato, il cui costo è superiore a quello degli attuali associati.

Il ddl si muove in continuità con la legge 133 dello scorso anno, così anche noi studenti, ricercatori, precari ed esternalizzati dobbiamo riprendere le moblitazioni in continuità con lo scorso autunno. Una lotta che, per essere vincente, non deve trincerarsi dietro una ottusa difesa del sistema pubblico già presente ma deve andare oltre rivendicando diritti, spazi e rivoluzionando l'università secondo i bisogni di chi l'università la vive tutti i giorni. Questo ddl deve ancora affrontare la discussione parlamentare, possiamo e dobbiamo fermarlo! Martedì 17 sarà un'occasione per rendere palese la nostra protesta, scendiamo in piazza!

Studenti e studentesse dell'Università e del Politecnico
contro la Riforma Gelmini

mercoledì 11 novembre 2009

Auto blu e caschi blu


Sull'inaugurazione dell'anno accademico 11 novembre 2009

Oggi in occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico 2009/2010, abbiamo voluto esprimere il nostro dissenso nei confronti della politica che l'ateneo sta portando avanti negli ultimi anni. Dopo aver partecipato a un'assemblea di lavoratori e precari del Politecnico, in cui si è discusso principalmente dei problemi dei precari della ricerca, abbiamo deciso di prender parte a modo nostro all'inaugurazione. Una cerimonia a cui sono stati invitati politici, militari e rappresentanti di aziende private, ma non studenti, lavoratori e precari!

Il nostro ingresso è stato impedito in modo violento dalle forze dell'ordine, schierate davanti alle porte dell'aula magna. A dare man forte alla DIGOS è stata chiamata anche la celere, fino a quel momento chiusa nelle quattro camionette parcheggiate davanti al Politecnico. Un clima surreale: un'università assediata dalle forze dell'ordine, con transenne che impedivano di accedere al cortile, trasformato per l'occasione in parcheggio per le auto blu dei signori in toga e in pelliccia. Negli ultimi mesi questa è la terza volta che il rettore autorizza l'ingresso della polizia al Politecnico, e questo dimostra che stiamo andando incontro ad un'università sempre più chiusa e militarizzata, in cui non c'è possibilità di dialogo, ma solo di obbedienza.

Non per gentile concessione del prorettore Gilli, ma con l'astuzia siamo entrati dal retro, portando rumorosamente le nostre critiche e richieste, interrompendo l'inaugurazione blindata, formale e fatta di velleità, disturbando per una decina di minuti la corte al servizio dei signori. La generale indifferenza in cui è caduto il nostro intervento, con tanti ospiti illustri che abbandonavano la sala per evitare le contestazioni, dimostra ancora una volta la volontà di non considerare ed escludere gli studenti da qualsiasi processo decisionale all'interno dell'ateneo.

Vogliamo un sapere libero, non in mano alle aziende. Per questo continueremo a ribadire con tutta la nostra voce che il modello aziendale di università non ci piace, che dare in mano ai privati la guida degli atenei è la morte dell'istruzione pubblica. La cultura legata ad interessi privati seguirà le stesse logiche di mercato che stanno distruggendo la nostra società.

Col.Po – Collettivo Politecnico

martedì 10 novembre 2009

Siamo tutt* meritevoli! La Gelmini non ci merita!


Sì all'apertura del tavolo sui precari


[torino.repubblica.it] Dopo il Politecnico anche l'Università aprirà un tavolo sulla situazione dei precari della ricerca, rappresentati dalla Flc-Cgil. Ieri, studenti, ricercatori e docenti hanno organizzato un presidio in Rettorato. Una delegazione è stata ricevuta dal rettore, che si è impegnato a portare le istanze in Senato accademico, compresa la forte contrarietà al ddl Gelmini sull'Università. Pelizzetti ha anche ricordato che il bilancio 2009 si chiuderà in positivo, con un leggero avanzo.
Vedi anche:

domenica 8 novembre 2009

I surfisti del terzo stato



[www.ilmanifesto.it]
Forum sul presente e sul futuro degli atenei dopo la presentazione del disegno di legge Gelmini. E a pochi giorni dall'assemblea nazionale lanciata dai ricercatori precari e dalla Flc-Cgil. Il forum è stato condotto da Roberto Ciccarelli, Sara Farolfi, Benedetto Vecchi

Coniugare il bene comune con l'autonomia sociale delle persone, un nuovo Welfare del diritto alla mobilità, alla casa, al reddito con la lotta contro il precariato e una nuova politica per l'università e la ricerca. Sono i temi dell'assemblea nazionale convocata per il pomeriggio del 20 novembre prossimo dal «laboratorio» dei dottorandi e ricercatori precari dell'Onda e la Federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) della Cgil.


L'assemblea nazionale viene convocata da chi l'anno scorso si è riconosciuto nello slogan «L'Onda è irrappresentabile» e la Flc-Cgil. Su quali basi nasce questo rapporto?
Francesco Brancaccio. L'Onda è stata un movimento generale che ha parlato all'intera società e ha posto un problema politico al sindacato e alle forze politiche. Non penso che l'assemblea del 20 abbia lo scopo di riprodurre lo schema classico di una mobilitazione che chiede al sindacato di rappresentare istanze particolari. Il problema che abbiamo oggi è diverso. Dobbiamo costruire una mobilitazione larga che metta il sindacato davanti alla sua stessa crisi e, contemporaneamente, lo spinga a praticare delle aperture rispetto ai movimenti. Dobbiamo avere l'ambizione di aprire un percorso più generale di campagne tematiche sul terreno della formazione, del reddito e del nuovo Welfare. Il fatto che ci sia una convergenza su tale impostazione mi sembra un punto di partenza importante.
Giuseppe Allegri. Il rapporto con la Flc è nato nel corso dell'Onda. È una novità dopo anni di incomprensioni sui problemi della precarietà da parte della Cgil. È un rapporto dialettico che la Cgil, oggi isolata, dovrebbe raccogliere per investire sui lavoratori della conoscenza: docenti, ricercatori, scienziati, formatori, maestre e insegnanti, la vera ricchezza dell'Onda. Cosa non scontata, ma che le darebbe un ruolo innovativo anche rispetto al vecchio patto sociale e ancor più dinanzi all'afonia conservatrice della sinistra. Quanto ai movimenti si tratta di rilanciare le loro intuizioni sulla questione sociale, a partire dal reddito di base e dal nuovo Welfare, in cui il confronto con il sindacato è una parte utile.

Qual è stato invece il ragionamento che ha portato la Flc-Cgil a confrontarsi con i movimenti?
Francesco Sinopoli. Per noi non è una scelta casuale. La nascita della Flc è il risultato di un investimento che ha comportato forzature organizzative nella Cgil. I precari al nostro interno sono oggi più rappresentati rispetto a qualche anno fa. Questa situazione ci ha costretto ad innovare sia i contenuti dell'iniziativa sindacale che le pratiche del conflitto. Il confronto con i movimenti nasce dalla necessità di tenere insieme una riforma dell'università adeguata al bisogno sociale di sapere e un nuovo Welfare contro la precarietà. Oggi non è più possibile separare la formazione e la ricerca da un'idea complessiva del bene comune e della società. Nell'assemblea del 20 invitiamo chi vive nell'università a prendere parola, ma non vogliamo riprodurre le dinamiche corporative degli anni scorsi. Anche perché certe alleanze, quella con i rettori ad esempio, non si daranno più. Vogliamo provare ad andare oltre la lotta contro il Disegno di legge presentato da Maria Stella Gelmini e superare l'autunno con un percorso che metta insieme interessi diversi.

A differenza dell'anno scorso, la reazione contro il progetto della ministra Gelmini nel mondo universitario, come in quello politico, sembra ancora blanda. Avete l'impressione che si tratti di una riforma bipartisan?
Andrea Capocci. La riforma bipartisan è un tormentone che ci portiamo dietro da anni. In realtà non c'è mai stata un'opposizione di sistema contro le riforme. Del resto, sarebbe contraddittorio contrastare riforme che procedono in continuità da un governo all'altro. Più che dire però che c'è stata una risposta blanda, sottolineerei il fatto che la proposta di riforma è arrivata dopo un anno. La scelta del disegno di legge, e non del decreto, è una soluzione che prefigura tempi molto lunghi in cui il governo cercherà delle mediazioni in Parlamento. È la prova della capacità dell'Onda di praticare l'obiettivo, cosa che temo sia stata dimenticata da chi ha fatto parte del movimento. Se ancora oggi nel disegno di legge si parla dell'abolizione del ricercatore, questo è il risultato del movimento contro la riforma Moratti che ha fatto saltare il progetto cinque anni fa. Per questo non sarei così catastrofista sulla debolezza della risposta. La vedremo nel tempo.
Francesco Brancaccio. Sono d'accordo con Andrea: è stata la risposta dell'Onda ad imporre al governo di procedere con un più prudente disegno di legge. Il rinvio della riforma non ha fermato i tagli di 1,5 miliardi per l'università e di 7 per la scuola previsti dalla legge 133, ma ha comunque congelato l'azione del governo sull'università per più di un anno. Non perdiamo di vista che il Ddl è l'ennesima riforma a costo zero in un paese che non investe nella conoscenza e disprezza le intelligenze. Ciò non basta ad impedire a molti atenei, come la Sapienza, di adeguare i propri statuti prima ancora che la riforma diventi legge. La drastica riduzione del numero di facoltà per ogni ateneo viene fatta sulla base di presunti criteri di efficienza e produttività, laddove bisognerebbe semmai interrogarsi sulla crisi dell'attuale assetto delle discipline scientifiche. Tutto ciò impone una ripresa immediata delle mobilitazioni.
Francesco Sinopoli. Ho dei dubbi sul fatto che questa riforma sia bipartisan. Vorrei capire con quale altra parte sia stata concordata. Chi è stato fino ad oggi il responsabile università del Pd o dell'Idv? Rispetto al 2004 con la Moratti, si fa fatica a capire con chi dovremmo relazionarci all'interno dell'opposizione per fare, banalmente, un'audizione parlamentare. Questa situazione complicherà il lavoro. Non c'è dubbio però che sia avvenuto uno scambio con una parte del mondo accademico. Conferire poteri maggiori al rettore eletto solo dagli ordinari dice molto sul consenso che ha questa riforma. Così come il nuovo concorso che in realtà riproduce le solite logiche, non scalfisce il potere degli ordinari. C'è poi lo scambio con l'Aquis, il consorzio delle 13 università «virtuose» a danno delle università «improduttive», soprattutto meridionali, che ha spaccato il fronte accademico con la Conferenza dei Rettori (Crui). Ma questo non significa che l'accordo riguardi tutte le componenti dell'accademia. L'impostazione verticistica della riforma produrrà un assetto di potere che scontenterà molti, al di là dei precari e degli studenti.

A vostro parere il Disegno di legge affronta la situazione drammatica di un'università che ha mancato tutti gli obiettivi del processo di Bologna stabiliti 10 anni fa?
Cesare Gruber. La riforma Gelmini la ignora del tutto. Anzi, è un arretramento rispetto alla riforma Berlinguer del 1997. È molto italiana perché prospetta, fintamente, una sistemazione per migliaia di precari, ma blocca la formazione dei dottorandi attuali. Legarci in Italia con 10 anni di precariato, dopo i quali non c'è alcuno sbocco, significa negarci la mobilità ed isolare l'Italia rispetto all'Europa dove viene garantita.
Francesco Vitucci. Questa riforma non garantisce alcuna continuità di reddito per chi lavora da precario nella ricerca e manda avanti l'università. È irresponsabile perché danneggia l'autonomia del reddito che costituisce l'autonomia sociale dei singoli. Letteralmente folle è poi non prevedere un canale alternativo dopo i 6 anni di contratto a tempo determinato per i ricercatori. Se si vuole dare una stabilità secondo il merito, allora il merito deve premiare la produzione scientifica e culturale e non quello fiscale premiando gli atenei «virtuosi». Senza contare che il Ddl parla a malapena del dottorato e della necessità di cancellare i dottorati senza borsa.
Antonello Ciervo. Ricordo la finanziaria del 2000 del governo Amato che introduceva le Fondazioni nell'università. Avrebbero dovuto catalizzare investimenti privati, ma così non è stato. Le imprese, come nel polo farmaceutico di Chieti, hanno fatto «mordi e fuggi» e nel breve-brevissimo periodo hanno di fatto ritirato i fondi per la ricerca. Dove invece queste fondazioni sono decollate, hanno semplicemente posto in essere speculazioni immobiliari che sono servite per l'apertura di nuove sedi, magari pure decentrate.
Francesco Sinopoli. Quanto all'idea della Gelmini di introdurre nei consigli di amministrazione «almeno» il 40 per cento di esterni l'efficacia è tutta da dimostrare. Sono anni che si sente parlare di università aperte al territorio, ma ciò non è mai avvenuto. È l'elemento ricorrente in tutte le riforme. L'autonomia voluta dalla Gelmini si tradurrà in tanti Consigli di amministrazione con sedie vuote. Solo poche università codificheranno le relazioni già esistenti con l'impresa o le amministrazioni locali. Le altre andranno a mendicare. Avremo così un sistema di formazione più modesto, con una ricerca penalizzata che ricalcherà modelli aziendalistici non praticabili nel nostro paese, oltre che non condivisibili.

In questo disegno di legge, si parla tanto di valutazione. Voi cosa ne pensate?
Andrea Capocci. La valutazione è il caposaldo dell'ideologia bipartisan sull'università. Il suo obiettivo è di separare la riforma dell'università da quella del Welfare. Come ricercatore non posso non essere a favore della valutazione. Io lavoro per ampliare la conoscenza. Il problema è che se l'università di Milano riceve i fondi di quella della Calabria le disparità aumentano. Se invece si portano fondi in Calabria, allora si capisce che un sistema di valutazione va adottato in base ad una politica democratica. Un'altra cosa è valutare le università e, insieme, garantire il diritto alla mobilità, alla casa, al reddito, insomma un nuovo Welfare universalistico. Senza questa cornice, ogni valutazione diventa conservatrice. In un'economia della conoscenza, formazione, ricerca e Welfare sono la stessa cosa.

Ma è possibile misurare la produttività di un lavoro come quello della conoscenza?
Andrea Capocci. Non è solo difficile capire cosa significa produttività della ricerca, ma è altrettanto difficile capire cos'è produttivo nella trasmissione delle conoscenze. Spesso vengono separate, sebbene l'università faccia entrambe le cose. Nella conoscenza non esiste uno strumento di misura sganciato dall'obiettivo della misura stessa. Non si può definire prima cos'è la produttività, se non si sa a cosa serve una ricerca. In Italia non c'è solo il problema dei fondi. È che non esiste una discussione pubblica sulla ricerca, né sugli obiettivi che dovrebbe avere la nostra economia della conoscenza. Se non c'è questo, ogni valutazione vivrà in un vuoto pronto ad essere occupato da chi ha le armate più potenti.

Che idea di università esporrete all'assemblea del 20?
Antonello Ciervo. L'Onda non ha fatto solo una critica del potere dei baroni. Ha detto che oggi è in gioco l'università pubblica in quanto diritto. La sua idea di autoriforma ha sparigliato le carte rispetto ad un problema classico dei movimenti, il diritto allo studio. Autoriforma significa che l'università è innanzitutto un bene comune. E, in quanto bene comune, il movimento cerca di riappropriarsi dal basso dell'università in quanto luogo di trasmissione e di produzione del sapere. Su questa base a Perugia abbiamo conquistato consenso anche nel sindacato e nei partiti. Nell'Onda ha preso parola quello che con Sieyès chiamerei un nuovo «Terzo Stato», una soggettività che non ha nessun diritto ma che per questo paese è tutto.
Giuseppe Allegri. Magari fosse vero. Un terzo Stato dei lavoratori della conoscenza permanenti anche se retribuiti a intermittenza. Dopo 15 anni di precariato istituzionalizzato, questo terzo Stato capirà che le lotte corporative non bastano. La nostra generazione non può rassegnarsi a farsi ridurre all'invisibilità. Bisogna ridare dignità pubblica ad un'idea critica di università e di ricerca rispetto ai poteri.
Andrea Capocci. Penso che l'università dovrà diventare un centro erogatore di conoscenza che dia alle persone autonomia nel ciclo produttivo e una formazione permanente gratuita che sia un diritto e non un dovere per il lavoratore. Da quando l'Italia è diventata un paese postindustriale, scuola e università sono state inserite nelle reti dell'economia della conoscenza. Il problema è che questo è stato fatto al di sotto della soglia che permette l'autonomia. Fatto ancora più grave è che l'università non si è accorta di essere passata da un ruolo condiviso ad uno al servizio di un mondo produttivo che non vuole innovazione. Riacquisterà legittimazione sociale solo se smette di essere neutrale rispetto a questo processo. I saperi non devono essere trasmessi assecondando il ciclo economico al ribasso in cui l'Italia si trova oggi. I saperi devono essere usati come strumenti di opposizione e di garanzia sociale per il reddito. Se si esce dall'università sapendo usare solo un software della Microsoft, diventi precario nel giro di un anno perché sai fare solo quello. Chi invece ha competenze a largo spettro, da un'azienda se ne va perché sa riconvertirsi ed è meno ricattabile.
Francesco Vitucci. Parleremo di un'università della conoscenza che permette di avere un potere di innovazione, di non essere schiavi di chi ha bisogno solo delle tue mansioni e non della tua intelligenza, rispetto ad un'università della formazione che tende ad alleggerire l'impresa dai costi della formazione dei lavoratori che le spetterebbero. Questo è il punto.

Sette voci dall'università. Tra precarietà e indipendenza
Francesco Brancaccio è dottorando in Teoria dello stato alla Sapienza e partecipa ai «laboratori precari» della rete romana dei dottorandi e dei ricercatori precari. Giuseppe Allegri insegna a contratto Istituzioni di diritto pubblico alla Sapienza e fa parte della Rete Nazionale dei Ricercatori Precari. Francesco Sinopoli fa parte della Federazione dei lavoratori della conoscenza (Flc) nazionale della Cgil ed è dottorando in Diritto del lavoro all'università di Bari. Andrea Capocci è borsista di postdottorato in Fisica alla Sapienza, fa parte dei «laboratori precari» romani. Cesare Gruber è dottorando in biofisica alla Sapienza e fa parte dell'Associazione dei dottorandi Italiani (Adi). Francesco Vitucci è dottorando in fisica alla Sapienza ed è membro dell'Adi. Antonello Ciervo è dottore di ricerca in diritto pubblico e partecipa al coordinamento dei precari dell'università di Perugia.

giovedì 5 novembre 2009

Migliaia di studenti e studentesse in corteo a Palermo!


[9nov09] Presidio in occasione del Senato Accademico: do the right thing!


DO THE RIGHT THING!


L'università è in crisi e questa non è una novità; la novità è che da quest'anno i tagli iniziano a essere visibili giorno per giorno.

Si scopre che l'offerta formativa si è ridotta; che molti docenti a contratto non saranno pagati per il loro lavoro; che le biblioteche hanno disdetto gli abbonamenti alle riviste e il personale è stato tagliato o reso sempre più precario; che decine di assegni di ricerca non saranno rinnovati; che per pagare i tagli l’ateneo aumenta le tasse per gli studenti; che le borse di dottorato sono la metà, un terzo, un quarto di quelle dell'anno scorso.

Si scopre, insomma, che l'università sta drasticamente riducendo la propria offerta di servizi, ricerca e formazione.

Siamo noi - precari della ricerca, studenti, dipendenti delle cooperative - che sopportiamo il peso maggiore di questi tagli; siamo noi, ancora, a non avere alcuna voce in capitolo rispetto alle decisioni che vengono prese in un momento così critico.

La riforma universitaria varata dalla Gelmini non solo non offrirà alcuna soluzione a questo stato di cose, né fondi aggiuntivi per l’università, ma contribuirà ulteriormente a spegnere gli ultimi barlumi di democrazia interna.

La crisi di oggi segna la fine di un'epoca: non si può far finta che qualche aggiustamento cosmetico e qualche fondo regalato agli atenei "virtuosi" ci permetteranno di far quadrare i conti. Se non si prende atto di questa situazione la sola cosa che i rettori Profumo e Pellizzetti sono in grado di garantire è il tranquillo affondamento dell'università, con loro nella parte dei commissari liquidatori.

C'è un solo modo sensato di affrontare quello che abbiamo davanti:

- Anche in tempi di fondi insufficienti le scelte dell'università contano, e conta come verranno prese. Per questo bisogna che siano prese in modo trasparente, coinvolgendo anche coloro che sono esclusi dagli organi di rappresentanza. Prossimamente si avvierà la discussione sul bilancio: vogliamo che questa discussione si svolga nel modo più aperto e democratico possibile.

- Ci viene detto che la drastica riduzione dell'offerta dell'università ci è imposta dai tagli ministeriali. Benissimo, allora i rettori di università e politecnico prendano atto dello stato di crisi e presentino le proprie dimissioni, creando un caso nazionale e costringendo il governo a spiegare come mai i "virtuosi" atenei torinesi (rispettivamente all'ottavo e al secondo posto nella classifica ministeriale) dichiarano di non poter andare avanti così.

- Se la crisi è così grave allora coinvolge tutti: si apra dunque un tavolo di crisi fra atenei, enti locali, studenti e lavoratori, che elabori un piano complessivo per salvare l'università garantendo la continuità di formazione e ricerca. Tavoli di confronto devono essere aperti sui temi più specifici (ricerca, diritto allo studio, servizi, ecc.) con tutte le parti coinvolte.

Chi oggi fa finta di niente sta suonando il suo trombone sul ponte del Titanic che affonda; poco importa stabilire se l'origine dell'iceberg sia la gelmini o i (molti) mali dell'università come la conosciamo.

La domanda è: cosa volete fare adesso?
FAI LA COSA GIUSTA!
LUNEDI' 9 NOVEMBRE H. 12.00 NELL'ATRIO DI PALAZZO NUOVO
PRESIDIO IN OCCASIONE DEL SENATO ACCADEMICO
picnic bellavita: porta qualcosa da mangiare anche per il rettore

Prime adesioni: Bibliocooperativisti - Precari della ricerca discipline umanistiche e scienze sociali - Collettivo Universitario Autonomo - Coordinamento precari FLC-CGIL Piemonte - Coordinamento Precari della Ricerca (POLITO) - Rete Nazionale Ricercatori Precari (Torino)

mercoledì 4 novembre 2009

A chi giova tutto questo?


[comunicato dell'Onda Anomala di Torino sulle missive al proiettile contro (?) la Lega Nord]

Apprendiamo con stupore dai quotidiani di oggi la notizia di una busta contenente un proiettile, recapitata alla sede della Lega Nord di Via Poggio. L’atto, secondo quanto dichiarato dagli esponenti della Lega, sarebbe rivendicato dall’Onda Perfetta, ossia dal movimento dell’Onda degli studenti universitari che si oppone alla riforma Gelmini. Tale gesto avrebbe come obiettivo quello di impedire gli sgomberi dei centri sociali.

Ci lascia decisamente perplessi questo coinvolgimento, ma soprattutto ci fa pensare che siamo di fronte all’ennesimo tentativo da parte della Lega Nord di farsi pubblicità strumentalizzando e demonizzando quei movimenti e quelle espressioni politiche che per varie e motivate ragioni si danno sul territorio.

L’Onda è per sua natura solidale ai movimenti sociali. Alcuni di noi fanno parte di centri sociali. La riappropriazione di spazi e tempi sono le parole d’ordine con cui per mesi si è scesi in piazza e non abbiamo nessuna esitazione a schierarci al fianco degli spazi autogestiti e a tutte quelle esperienze politiche che oggi, da più parti, vengono minacciate di sgombero. 

Probabilmente ai leghisti serviva qualche notizia eclatante per buttare ancora benzina sul fuoco. Non siamo legati alle dietrologie né ci interessano le tesi complottistiche, ma questa volta non possiamo fare a meno di chiederci: Cui Prodest? A chi giova tutto questo? Probabilmente agli stessi leghisti che vorrebbero chiaramente mettere in un angolo il Sindaco Chiamparino, soprattutto in vista delle prossime elezioni comunali e regionali, o addirittura a qualche loro esponente che desidera anch’egli una scorta. 

Rispetto alla busta col proiettile, calata in questo momento, ci lascia piuttosto perplessi. Le pratiche dell'Onda sono sempre state agite alla luce del sole, come i nostri obbiettivi e la nostra voglia di costruire un’università diversa, dal basso, che risponda alle reali necessità di studenti, docenti, ricercatori e lavoratori. 

Tutto il resto è sabbia negli occhi. 

Onda Anomala Torino

martedì 3 novembre 2009

Grecia: "carcere per chi occupa scuole e università"


[www.infoaut.org] La procura di Salonicco ha deciso di incriminare studenti coinvolti nell'occupazione di decine di scuole e università. Gli occupanti rischiano fino a 5 anni di carcere. L'ordinanza è stata fortemente criticata dal movimento studentesco così come dalle organizzazioni dei genitori e degli insegnanti. Ciò potrebbe aprire la porta ad iniziative giudiziarie simili anche ad Atene, dove sono in atto numerose occupazioni scolastiche. Un progetto di criminalizzazione da respingere per rispondere alla repressione con la lotta, per evitare la costituzione di un precedente.

Le mobilitazioni studentesche vanno avanti ormai dall'inizio dell'anno scolastico, seguendo il filo rosso tracciato, già negli scorsi anni, dalle proteste contro l'implementazione del processo di Bologna ma anche dalla rivolta del dicembre scorso, che ha visto studenti protagonisti e università occupate. Il 22 ottobre gli studenti e le studentesse sono scesi in piazza contro la nuova riforma universitaria che vuole equiparare i college privati agli atenei pubblici, seguendo la via dell'aziendalizzazione già predetta altrove (vedi riforma Gelmini e Onda nel nostro paese). Alle manifestazioni sono seguite l'occupazione del rettorato di Atene e di altre università e scuole greche.

Tutto ciò si inserisce in una fase di alta tensione sociale per il paese ellenico. Da una parte l'attivismo dei gruppi armati di sinistra che continuano a colpire in più parti delle grandi città obiettivi sensibili, dalle residenze dei ministri ai commissariati, dalle sedi diplomatiche a quelle di governo; dall'altra l'attacco sotto cui sono finiti due centri occupati di Atene, Villa Amalias è stata bersagliata da una serie di molotov e lo squat di via Lelas Karagiannis ha invece respinto con la forza un attacco incendiario. Le forze armate greche sono in stato di allerta per timore di possibili attentati, questione sulla quale l'appena insediato governo socialdemocratico si sta trovando non poco in difficoltà.

Blitz dell'Onda al ministero dell'università!


Malcontento e (o) movimento?


Quale democrazia all’Università?

Le mobilitazioni del Politecnico di qualche settimana fa hanno sollevato molte domande chiare, e una soprattutto: quanto è “democratica” la gestione delle risorse, della didattica e del personale dell’ateneo?

Crediamo che sia la domanda centrale da porre in questo momento, perché affronta il nesso tra università e potere nel senso più ampio: i poteri interni all’università e il rapporto dell’università con il potere in senso eminente, con il governo. In questi giorni entra nel dibattito parlamentare una riforma universitaria – la terza degli anni 2000, dopo il 3+2 per gli studenti e il 3+3 per i ricercatori – che, tra tagli e retorica del merito, affronta direttamente il tema della governance, e non è un caso. Dopo la trasformazione degli studenti in clienti nel 2000, con la logica debiti/crediti, il sanzionamento giuridico della precarietà infinita delle figure della ricerca nel 2005 e la mannaia dei tagli tremontiani della 133/2008, l’Università è in crisi, e da questa crisi potrà uscire solo con un nuovo assetto di potere e con una nuova bilancia tra pubblico e privato.

In realtà, sappiamo che la crisi dell’università non è il prodotto delle riforme, ma il loro presupposto; una crisi che le riforme non riescono a governare, e che dunque provano a gestire con una trasformazione autoritaria proprio di quelli che sono, per ogni ateneo, gli organi di governo: senato accademico e cda. Se analizziamo il percorso che dai tagli ha portato alla riforma odierna, in poco più di un anno, ci rendiamo conto di quanto fu sbagliato lo slogan che scegliemmo all’inizio (“Tutta l’università contro la Gelmini”) e di quanto fu azzeccata, invece, la formula utilizzata al senato accademico allargato del novembre scorso per rivolgerci al rettore (“O sei parte della soluzione, o sei parte del problema”). Abbiamo forse visto prese di posizione significative da parte del corpo docente (ci si risparmi la litanie delle mozioni critiche dei consigli di facoltà, mere foglie di fico per nascondere l’immobilismo) nell’autunno scorso?

Il rettore si è forse dimesso, ha forse fomentato prese di posizione contro il governo da parte della crui che, di fatto, non ci sono mai state? L’intervento del rettore davanti al corpo docente e al movimento studentesco, il 13 novembre 2008, puntò esclusivamente a magnificare la situazione contabile di Unito. Nel momento in cui tutti criticavano il ministro, Pellizzetti sembrava sentirsi sotto attacco; forse che abbia visto più lontano lui?

La crisi di Unito

Sarà un caso, ma poche settimane dopo comparivano indiscrezioni sui giornali riguardo all’esistenza di un enorme buco finanziario dell’ateneo. Il direttore amministrativo di dimetteva, rimpiazzato, e via Po 18 si barricava in un assordante silenzio. Dove erano finiti quei soldi? Quanto era grande il buco? Chi lo avrebbe riempito? Il rettore pensava piuttosto a inaugurare l’anno accademico che, anche se non avrebbe visto l’ermellino, ne avrebbe comunque viste di tutti i colori, con la blindatura militare del rettorato di fronte al pericoloso esercito di alcune centinaia di precari e studenti, nell’auspicio che la minaccia della violenza avrebbe attutito la sensazione, o puzza, di “marcio”.

Nel frattempo svanivano le speranze dei precari di uno sblocco della loro situazione, i tentativi di trovare sponda tra gli strutturati si rivelavano infruttuosi, e in cambio venivano banditi gli ormai celebri “contratti a zero euro” (ma va dato atto che alcuni sono anche a 50 euro!) con i quali parte della voragine tagli/buco sarebbe stata sanata: offerta didattica gratis da parte dei precari in cambio di assegni di ricerca (proposta indecente e indegna che qualche strutturato “amico di precari” ha anche fatto platealmente e di persona).

Dopo questo triste naufragio delle speranze precarie il bicchiere si è rivelato mezzo vuoto e mezzo pieno, nella misura in cui, se da un lato la maggior parte degli interessati era sorda al richiamo di un appello contro i contratti-furto, una agguerrita minoranza ha resistito sulle sue posizioni e ha continuato a incontrarsi fino a oggi. Dopo l’inaugurazione dell’anno accademico anche i precari del poli hanno protestato, insieme agli studenti, contro le politiche del rettore Profumo, che nel frattempo costruiva il monumento peggiore all’università in crisi, il sedicente “g8 dell’università”. Nell’evento mediatico si esprimeva la retorica vana di una casta senza morale e senza progetti se non quello di assicurare il proprio potere anche nell’incancrenirsi della crisi universitaria. Come in occasione dell’anno accademico, tutte le componenti universitarie si opposero alla pagliacciata di Profumo & Company. Anche in questo caso, stavolta a livello studentesco, la realtà si rivelava sfaccettata. Se c’era chi puntava il tutto per tutto sulle divisioni fratricide e sulle polemiche, i blocchi metropolitani e la grande manifestazione del 19 maggio, con annessa la legittima non accettazione della zona rossa – dispositivo simbolico quanto mai significativo, dal momento che essa è quella che ora non la polizia, ma la riforma, vuole blindare con una governance ancora più autoritaria – mostravano una vitalità impensata del movimento studentesco, che si sarebbe confermata in tutta Italia dopo gli arresti dell’estate.

Che la gestione della crisi fosse rivolta contro gli studenti, oltre che contro i precari, lo hanno dimostrato un mese dopo gli aumenti delle tasse. Solo grazie a una mobilitazione puntuale degli studenti, l’impatto è stato meno duro del previsto, e comunque c’è stato, alla faccia dell’obbligo di legge, ignorato da anni, del tetto del 20% dell’FFO. Attacco che si è concretizzato, a livello di facoltà, anche nella minaccia di tassa sui laboratori. È vero che queste cose non sono passate, ma è sempre bene ricordarsi chi le ha proposte per distinguere meglio, d’ora in avanti, tra “soluzioni” e “problemi”. Le stesse facoltà, d’altra parte, a partire da Lettere e Psicologia hanno proseguito l’attacco dai piani bassi con l’eliminazione di finestre esami, impedita in parte a Lettere dalla mobilitazione studentesca (eliminazione che neanche ha a che fare col risparmio, ma i professori avranno pensato: visto che oggi si accetta tutto, togliamoci anche un po’ di lavoro). Infine, occorre ricordare i tagli agli orari e ai servizi delle biblioteche (per esempio le stampe, ora a pagamento per tutti, ricercatori e studenti, in alcune biblioteche) e al loro personale, solo in parte rientrati (c’è ancora chi rischia il posto).

Di fronte a tutto questo, ben sappiamo quanto poco i “risparmi” abbiano inciso sull’apparato dell’ateneo e sulle sue clientele (alcuni degli stipendi degli amministratori sono sul portale alla voce “trasparenza”), compresi i contratti a 20.000 euro ai docenti in via di pensionamento. E del resto lo stesso governo, che già con il decreto 180/2008 aveva strizzato l’occhio ai docenti ordinari (riforma dei concorsi) di recente ha loro aumentato ancora per decreto gli stipendi, e nella riforma un ulteriore aumento è previsto. Che si tratti di comprare ulteriormente il benestare dei baroni per bastonare meglio lavoratori, studenti e precari? Ma figuriamoci…

“Virtù” e “merito”, potere e democrazia

Nell’assenza di proposta didattica degna e nel disamore totale degli studenti, con l’aumento dei costi di vita per tutti e nello sfruttamento bestiale e parassitario da parte degli atenei di personale e precari, il ministero dà le pagelle e costruisce gerarchie immaginarie, oltre a quelle vere. La classifica degli atenei “virtuosi” (cioè quelli che risparmiano di più indebolendo il pensiero e aumentando lo sfruttamento selvaggio) pubblicata in estate ha sortito l’effetto sperato, esacerbando la guerra del tutti contro tutti a livello nazionale di cui Pellizzetti è sempre stato un campione. Successivamente, la sezione della riforma dedicata al concetto di merito – che noi intendiamo decostruire fin nelle fondamenta – ha ipotizzato un’università dove solo i “migliori” sono aiutati dallo stato e accedono all’eccellenza, a scapito di tutti gli altri, i “peggiori”. Anche qualora condividessimo questo ridicolo darwinismo studentesco, non potremmo dichiararci soddisfatti: l’accesso ai “meritevoli” è dato a un sistema universitario a pezzi e senza speranze di rialzarsi, dove l’offerta didattica è in ginocchio e i costi sono scaricati comunque sulla totalità degli studenti. Come in una forbice marxiana, assistiamo a una proletarizzazione dei soggetti deboli e ad un rinsaldamento dei privilegi politici ed economici di una casta (ricorda qualcosa?). I richiami alla “virtù” e al “merito” sono una truffa, e come tali vanno affrontati.

Oggi a uno di vertici della forbice c’è una minoranza compatta e ostinata, che sa che potrà giocare il doppio ruolo della vittima del ministero (pubblicamente) e del carnefice di chi veramente sta pagando la crisi dell’università (nel segreto, rotto per ora molto parzialmente dalle interne “forze amiche”, delle sedute dei senati accademici e dei cda); all’altro lato della forbice c’è una massa sotto continuo attacco. In questo contesto, è scandaloso che vi siano rappresentanti degli studenti che si identificano con l’istituzione universitaria e, anziché votare “no” a tutto in questa fase di “prendi soldi e scappa” – ci furono tentennamenti persino sulle tasse – si fanno insaponare dal rettore o dalla direttrice amministrativa. I rappresentanti degli studenti, soprattutto quelli che provengono dall’onda, sono tenuti a esprimere le decisioni del movimento degli studenti o dei precari, o dei due soggetti insieme, e non per fare un favore a qualcuno, ma perché questo è il loro unico possibile ruolo utile, ed un loro dovere politico.

Come rompere con questa situazione? Bisogna (1) ripartire dalle lotte e (2) avere fiducia in esse. Non bisogna spaventarsi per il fatto di essere minoranza, gli studenti, i lavoratori e i precari oggi disposti a mobilitarsi, rispetto alla popolazione universitaria, perché oggi più che mai dobbiamo parlare di una situazione generalizzata, evidente a tutti. Minoranze attive di studenti o precari oggi parlano il linguaggio e esprimono gli interessi del 95% del mondo universitario, e non possiamo perdere questa occasione per ribaltare i rapporti di forza. Molti di quelli che tacciono o sono immobili, lo sappiamo benissimo, parleranno e si muoveranno quando saremo capaci di portare i problemi all’attenzione pubblica. L’unica strada percorribile è attirare l’attenzione dei media su unito, denunciare alla stampa pubblicamente l’esistenza di una crisi e di un dispositivo politico per far pagare a studenti e precari questa crisi, che è già in funzione: l’ateneo lo mette in atto, il ministero pone le basi, con la riforma, per un rafforzamento dei suoi principi di potere. Tutto questo va messo in discussione e, se di dimissioni del rettore si deve parlare, che siano le dimissione per le sue responsabilità come controparte, e non come impossibile alleato contro la Gelmini.

Oggi abbiamo l’occasione – coordinandoci, discutendo, agendo insieme – di far saltare il banco: un banco che non dobbiamo più scusare, e a cui non dobbiamo più rivolgerci come a un interlocutore politico, ma come a una controparte.

Questo è, perché questo ha scelto di essere. Solo tracciando una linea netta potremo essere riconosciuti pubblicamente per quello che siamo, cioè – nelle diverse articolazioni che assume il movimento – l’espressione di una forza reale all’università.

Collettivo Universitario Autonomo
cuatorino.blogspot.com