giovedì 19 novembre 2009

Wave international: "fabbriche del sapere" in lotta


[www.infoaut.org] Solo l'altro giorno la nuova dirompente discesa in piazza degli studenti e delle studentesse dell'Onda nel nostro paese, Torino Milano e Napoli gli epicentri della mobilitazione contro la riforma Gelmini. Ma anche altrove si manifesta il fermento nelle scuole e nelle università, non solamente in Grecia e Austria dove nell'ultimo mese hanno preso le occupazioni e i cortei, ma anche in Germania e negli Stati Uniti. Nel cuore dell'Europa, dopo le straordinarie mobilitazioni dello scorso anno, dentro le quali si decise di occupare i ministeri simbolo della privatizzazione e del declassamento del mondo della formazione, in almeno 50mila sono tornati in piazza (il 17 novembre) per opporsi al disegno principe della ristrutturazione in atto a livello europeo (ma non solo). Oltre l'Atlantico, negli Stati Uniti d'America, seguendo il corso delle mobilitazioni ri-esplose negli atenei americani, che hanno visto, oltre le partecipate occupazioni e assemblee, l'elaborazione di discorso contro la crisi ma anche per la costruzione di un'università altra, si è imbastita una vincente mobilitazione contro la Russell Athletic, in connessione con la lotta dei lavoratori licenziati in Honduras, che hanno ottenuto il loro reintegro. Pubblichiamo di seguito 2 articoli che raccontano delle mobilitazioni universitarie negli Usa ed in Germania.

Russell rinuncia ai licenziamenti, hanno vinto gli studenti

[da www.rainews24.it] "Abbiamo vinto! E siamo sulla homepage del New York Times!". Il sito della United Students Against Sweatshops (Usas, Studenti uniti contro le "fabbriche del sudore") trasuda soddisfazione. E come dargli torto: Russell Athletic, una delle più note case di produzione di abbigliamento casual e sportivo degli USA, ha ceduto, annunciando il reintegro di 1200 lavoratori licenziati in Honduras.

New York - "Abbiamo vinto! E siamo sulla homepage del New York Times!". Il sito della United Students Against Sweatshops ( Usas, Studenti uniti contro le "fabbriche del sudore") trasuda soddisfazione. E come dargli torto: Russell Athletic, una delle più note case di produzione di abbigliamento casual e sportivo degli USA, ha ceduto, annunciando il reintegro di 1200 lavoratori licenziati in Honduras.

La storia, raccontata dal NYT e ripresa da altri media americani, mostra ancora una volta come una forte mobilitazione possa vincere anche l'asprezza dei colossi dell'economia globalizzata. Nello scorso gennaio, Russel Athletic reagisce alla sindacalizzazione dei lavoratori di una fabbrica honduregna comunicando che da quel momento in poi le sue felpe e le sue magliette le avrebbe fatte cucire a qualcun altro. Ma dall'Honduras la notizia arriva via web in America, dove associazioni di studenti fanno propria la battaglia dei lavoratori honduregni per riavere il loro posto di lavoro.

Nasce una catena di solidarietà che attraverso email, Facebook, sms, porta alla mobilitazione di centinaia di giovani in tutti i maggiori atenei universitari americani. La Usas inizia a premere sulle autorità dei campus e gli amministratori del Boston College, di Columbia, Harvard, New York University, Stanford, e di ben 49 college si convincono che sì, hanno ragione i ragazzi: se Russell Athletic non ci ripensa, mette a rischio i contratti di fornitura in esclusiva con le università.

In ballo ci sono le maglie delle squadre di basket, di calcio, di baseball degli atenei, le felpe con il nome dell'università, una delle icone dei campus americani. E soprattutto, milioni di dollari.

Gli studenti non si fermano, portano la loro protesta contro Russell anche alle finali NBA a Orlando e Los Angeles, su Twitter un micidiale passa parola invita tutti a boicottare i prodotti Russell se in Hoduras non arriverà la notiza di un ripensamento. E perfino Warren Buffett si ritrova degli universitari sulla porta di casa, a Omaha, perché una sua società, la Berkshire Hathaway, ha azioni della Fruits of the Loom, affiliata della Russell.

Assediata da mesi, alle prese con il rischio di un evidente svilimento del marchio, associato a delocalizzazione e mancato rispetto dei diritti dei lavoratori, quest'ultima alla fine si piega: "Riassumiamo i 1300 in Honduras", è l'annuncio che arriva la settimana scorsa e che alla Usas attendevano da mesi.
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Universitari in piazza in 50 città contro il «Piano Bologna»

[da www.ilmanifesto.it] «No al terrorismo di test, piani di studio e limiti di accesso ai master nella fabbrica del sapere»

Berlino - In diverse città tedesche 50mila studenti hanno disertato le lezioni. Chiedono piani di studio meno rigidi nei corsi di laurea brevi (bachelor), la liberalizzazione dell'accesso ai corsi di approfondimento (master), l'abolizione delle tasse di frequenza introdotte nei Länder democristiani. Le dimostrazioni maggiori si sono svolte a Berlino, con più di diecimila studenti in corteo, e a Monaco. L'agitazione è cominciata la settimana scorsa con l'occupazione delle aule magne delle università, e ieri si era estesa a circa 50 città. Due altri appuntamenti in calendario. Martedì prossimo gli studenti si faranno sentire a Lipsia per la conferenza dei rettori. E il 10 dicembre «assedio» alla conferenza dei ministri dell'istruzione dei Länder a Bonn: scuola e università sono in Germania competenza delle regioni, e la frammentazione federalista rende complicata ogni riforma.

Gli studenti non cominciano da zero. Le loro rivendicazioni erano già state al centro di un grosso Bildungstreik (sciopero della pubblica istruzione) il 17 giugno scorso, con più di 200mila studenti nelle piazze di 70 città tedesche. Da allora è rimasta una rete di contatti e di organizzazione, a cui rifarsi. Oggetto del contendere resta il «Processo di Bologna». Il riferimento è alla dichiarazione firmata dieci anni fa nella città italiana da 30 stati, con l'intento di armonizzare i piani di studio in Europa secondo la scansione bachelor-master. Per i bachelor l'accento cadeva sulla employability, ovvero l'orientamento su profili professionali «impiegabili» sul mercato del lavoro.

In Germania spesso è successo che i vecchi contenuti fossero concentrati in sei semestri (tre anni), con uno spezzettamento in «moduli» per ogni capitoletto del sapere, una moltiplicazione di esami e test, obbligo di frequenza. L'università, dicono i critici, si è «scuolizzata», senza che aumentassero le strutture didattiche, né il personale docente. Manca l'agio di guardarsi intorno oltre gli specialismi, e l'opportunità di scegliere cosa approfondire. «Contro il terrorismo dei test nella fabbrica del sapere», recitavano gli striscioni al corteo di ieri a Berlino, oppure «Libertà anche per gli studenti da batteria». L'obiettivo di rendere compatibili i piani di studio non è stato raggiunto. Sembra anzi che ora sia più difficile in Germania passare da un'università all'altra. Manca il tempo per soggiorni di studio all'estero. Né i «baccellieri» trovano subito un posto di lavoro. Molti vorrebbero proseguire con un master, ma i posti di studio sono meno delle richieste, e riservati solo a chi abbia ottimi voti.

A ottobre la conferenza dei ministri regionali dell'istruzione ha deciso di «valutare» se non convenga ritoccare qua e là l'applicazione della riforma. La durata del bachelor potrebbe essere prolungata a sette o otto semestri, per consentire più flessibilità. Ma finora nulla è cambiato. E «Bologna», con gran scorno dei manager del turismo nostrano, continua a essere in Germania sinonimo di caos e decadenza culturale.

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