Quale democrazia all’Università?
Le mobilitazioni del Politecnico di qualche settimana fa hanno sollevato molte domande chiare, e una soprattutto: quanto è “democratica” la gestione delle risorse, della didattica e del personale dell’ateneo?
Crediamo che sia la domanda centrale da porre in questo momento, perché affronta il nesso tra università e potere nel senso più ampio: i poteri interni all’università e il rapporto dell’università con il potere in senso eminente, con il governo. In questi giorni entra nel dibattito parlamentare una riforma universitaria – la terza degli anni 2000, dopo il 3+2 per gli studenti e il 3+3 per i ricercatori – che, tra tagli e retorica del merito, affronta direttamente il tema della governance, e non è un caso. Dopo la trasformazione degli studenti in clienti nel 2000, con la logica debiti/crediti, il sanzionamento giuridico della precarietà infinita delle figure della ricerca nel 2005 e la mannaia dei tagli tremontiani della 133/2008, l’Università è in crisi, e da questa crisi potrà uscire solo con un nuovo assetto di potere e con una nuova bilancia tra pubblico e privato.
In realtà, sappiamo che la crisi dell’università non è il prodotto delle riforme, ma il loro presupposto; una crisi che le riforme non riescono a governare, e che dunque provano a gestire con una trasformazione autoritaria proprio di quelli che sono, per ogni ateneo, gli organi di governo: senato accademico e cda. Se analizziamo il percorso che dai tagli ha portato alla riforma odierna, in poco più di un anno, ci rendiamo conto di quanto fu sbagliato lo slogan che scegliemmo all’inizio (“Tutta l’università contro la Gelmini”) e di quanto fu azzeccata, invece, la formula utilizzata al senato accademico allargato del novembre scorso per rivolgerci al rettore (“O sei parte della soluzione, o sei parte del problema”). Abbiamo forse visto prese di posizione significative da parte del corpo docente (ci si risparmi la litanie delle mozioni critiche dei consigli di facoltà, mere foglie di fico per nascondere l’immobilismo) nell’autunno scorso?
Il rettore si è forse dimesso, ha forse fomentato prese di posizione contro il governo da parte della crui che, di fatto, non ci sono mai state? L’intervento del rettore davanti al corpo docente e al movimento studentesco, il 13 novembre 2008, puntò esclusivamente a magnificare la situazione contabile di Unito. Nel momento in cui tutti criticavano il ministro, Pellizzetti sembrava sentirsi sotto attacco; forse che abbia visto più lontano lui?
La crisi di Unito
Sarà un caso, ma poche settimane dopo comparivano indiscrezioni sui giornali riguardo all’esistenza di un enorme buco finanziario dell’ateneo. Il direttore amministrativo di dimetteva, rimpiazzato, e via Po 18 si barricava in un assordante silenzio. Dove erano finiti quei soldi? Quanto era grande il buco? Chi lo avrebbe riempito? Il rettore pensava piuttosto a inaugurare l’anno accademico che, anche se non avrebbe visto l’ermellino, ne avrebbe comunque viste di tutti i colori, con la blindatura militare del rettorato di fronte al pericoloso esercito di alcune centinaia di precari e studenti, nell’auspicio che la minaccia della violenza avrebbe attutito la sensazione, o puzza, di “marcio”.
Nel frattempo svanivano le speranze dei precari di uno sblocco della loro situazione, i tentativi di trovare sponda tra gli strutturati si rivelavano infruttuosi, e in cambio venivano banditi gli ormai celebri “contratti a zero euro” (ma va dato atto che alcuni sono anche a 50 euro!) con i quali parte della voragine tagli/buco sarebbe stata sanata: offerta didattica gratis da parte dei precari in cambio di assegni di ricerca (proposta indecente e indegna che qualche strutturato “amico di precari” ha anche fatto platealmente e di persona).
Dopo questo triste naufragio delle speranze precarie il bicchiere si è rivelato mezzo vuoto e mezzo pieno, nella misura in cui, se da un lato la maggior parte degli interessati era sorda al richiamo di un appello contro i contratti-furto, una agguerrita minoranza ha resistito sulle sue posizioni e ha continuato a incontrarsi fino a oggi. Dopo l’inaugurazione dell’anno accademico anche i precari del poli hanno protestato, insieme agli studenti, contro le politiche del rettore Profumo, che nel frattempo costruiva il monumento peggiore all’università in crisi, il sedicente “g8 dell’università”. Nell’evento mediatico si esprimeva la retorica vana di una casta senza morale e senza progetti se non quello di assicurare il proprio potere anche nell’incancrenirsi della crisi universitaria. Come in occasione dell’anno accademico, tutte le componenti universitarie si opposero alla pagliacciata di Profumo & Company. Anche in questo caso, stavolta a livello studentesco, la realtà si rivelava sfaccettata. Se c’era chi puntava il tutto per tutto sulle divisioni fratricide e sulle polemiche, i blocchi metropolitani e la grande manifestazione del 19 maggio, con annessa la legittima non accettazione della zona rossa – dispositivo simbolico quanto mai significativo, dal momento che essa è quella che ora non la polizia, ma la riforma, vuole blindare con una governance ancora più autoritaria – mostravano una vitalità impensata del movimento studentesco, che si sarebbe confermata in tutta Italia dopo gli arresti dell’estate.
Che la gestione della crisi fosse rivolta contro gli studenti, oltre che contro i precari, lo hanno dimostrato un mese dopo gli aumenti delle tasse. Solo grazie a una mobilitazione puntuale degli studenti, l’impatto è stato meno duro del previsto, e comunque c’è stato, alla faccia dell’obbligo di legge, ignorato da anni, del tetto del 20% dell’FFO. Attacco che si è concretizzato, a livello di facoltà, anche nella minaccia di tassa sui laboratori. È vero che queste cose non sono passate, ma è sempre bene ricordarsi chi le ha proposte per distinguere meglio, d’ora in avanti, tra “soluzioni” e “problemi”. Le stesse facoltà, d’altra parte, a partire da Lettere e Psicologia hanno proseguito l’attacco dai piani bassi con l’eliminazione di finestre esami, impedita in parte a Lettere dalla mobilitazione studentesca (eliminazione che neanche ha a che fare col risparmio, ma i professori avranno pensato: visto che oggi si accetta tutto, togliamoci anche un po’ di lavoro). Infine, occorre ricordare i tagli agli orari e ai servizi delle biblioteche (per esempio le stampe, ora a pagamento per tutti, ricercatori e studenti, in alcune biblioteche) e al loro personale, solo in parte rientrati (c’è ancora chi rischia il posto).
Di fronte a tutto questo, ben sappiamo quanto poco i “risparmi” abbiano inciso sull’apparato dell’ateneo e sulle sue clientele (alcuni degli stipendi degli amministratori sono sul portale alla voce “trasparenza”), compresi i contratti a 20.000 euro ai docenti in via di pensionamento. E del resto lo stesso governo, che già con il decreto 180/2008 aveva strizzato l’occhio ai docenti ordinari (riforma dei concorsi) di recente ha loro aumentato ancora per decreto gli stipendi, e nella riforma un ulteriore aumento è previsto. Che si tratti di comprare ulteriormente il benestare dei baroni per bastonare meglio lavoratori, studenti e precari? Ma figuriamoci…
“Virtù” e “merito”, potere e democrazia
Nell’assenza di proposta didattica degna e nel disamore totale degli studenti, con l’aumento dei costi di vita per tutti e nello sfruttamento bestiale e parassitario da parte degli atenei di personale e precari, il ministero dà le pagelle e costruisce gerarchie immaginarie, oltre a quelle vere. La classifica degli atenei “virtuosi” (cioè quelli che risparmiano di più indebolendo il pensiero e aumentando lo sfruttamento selvaggio) pubblicata in estate ha sortito l’effetto sperato, esacerbando la guerra del tutti contro tutti a livello nazionale di cui Pellizzetti è sempre stato un campione. Successivamente, la sezione della riforma dedicata al concetto di merito – che noi intendiamo decostruire fin nelle fondamenta – ha ipotizzato un’università dove solo i “migliori” sono aiutati dallo stato e accedono all’eccellenza, a scapito di tutti gli altri, i “peggiori”. Anche qualora condividessimo questo ridicolo darwinismo studentesco, non potremmo dichiararci soddisfatti: l’accesso ai “meritevoli” è dato a un sistema universitario a pezzi e senza speranze di rialzarsi, dove l’offerta didattica è in ginocchio e i costi sono scaricati comunque sulla totalità degli studenti. Come in una forbice marxiana, assistiamo a una proletarizzazione dei soggetti deboli e ad un rinsaldamento dei privilegi politici ed economici di una casta (ricorda qualcosa?). I richiami alla “virtù” e al “merito” sono una truffa, e come tali vanno affrontati.
Oggi a uno di vertici della forbice c’è una minoranza compatta e ostinata, che sa che potrà giocare il doppio ruolo della vittima del ministero (pubblicamente) e del carnefice di chi veramente sta pagando la crisi dell’università (nel segreto, rotto per ora molto parzialmente dalle interne “forze amiche”, delle sedute dei senati accademici e dei cda); all’altro lato della forbice c’è una massa sotto continuo attacco. In questo contesto, è scandaloso che vi siano rappresentanti degli studenti che si identificano con l’istituzione universitaria e, anziché votare “no” a tutto in questa fase di “prendi soldi e scappa” – ci furono tentennamenti persino sulle tasse – si fanno insaponare dal rettore o dalla direttrice amministrativa. I rappresentanti degli studenti, soprattutto quelli che provengono dall’onda, sono tenuti a esprimere le decisioni del movimento degli studenti o dei precari, o dei due soggetti insieme, e non per fare un favore a qualcuno, ma perché questo è il loro unico possibile ruolo utile, ed un loro dovere politico.
Come rompere con questa situazione? Bisogna (1) ripartire dalle lotte e (2) avere fiducia in esse. Non bisogna spaventarsi per il fatto di essere minoranza, gli studenti, i lavoratori e i precari oggi disposti a mobilitarsi, rispetto alla popolazione universitaria, perché oggi più che mai dobbiamo parlare di una situazione generalizzata, evidente a tutti. Minoranze attive di studenti o precari oggi parlano il linguaggio e esprimono gli interessi del 95% del mondo universitario, e non possiamo perdere questa occasione per ribaltare i rapporti di forza. Molti di quelli che tacciono o sono immobili, lo sappiamo benissimo, parleranno e si muoveranno quando saremo capaci di portare i problemi all’attenzione pubblica. L’unica strada percorribile è attirare l’attenzione dei media su unito, denunciare alla stampa pubblicamente l’esistenza di una crisi e di un dispositivo politico per far pagare a studenti e precari questa crisi, che è già in funzione: l’ateneo lo mette in atto, il ministero pone le basi, con la riforma, per un rafforzamento dei suoi principi di potere. Tutto questo va messo in discussione e, se di dimissioni del rettore si deve parlare, che siano le dimissione per le sue responsabilità come controparte, e non come impossibile alleato contro la Gelmini.
Oggi abbiamo l’occasione – coordinandoci, discutendo, agendo insieme – di far saltare il banco: un banco che non dobbiamo più scusare, e a cui non dobbiamo più rivolgerci come a un interlocutore politico, ma come a una controparte.
Questo è, perché questo ha scelto di essere. Solo tracciando una linea netta potremo essere riconosciuti pubblicamente per quello che siamo, cioè – nelle diverse articolazioni che assume il movimento – l’espressione di una forza reale all’università.
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