di Gigi Roggero per Uniriot
La canicola, si sa, è il momento migliore per i provvedimentiimpopolari. Così, l’amministrazione della University of California (UC) ha approfittato dei mesi estivi per approvare un programma di aumento delle tasse, licenziamenti, taglio di classi e dipartimenti. Ma questa volta non si tratta di una semplice astuzia del governo pubblico: la crisi sta travolgendo gli atenei degli Stati Uniti, che già da tempohanno cominciato una feroce riduzione dell’organico e delle strutture.
La risposta è ormai nota: l’occupazione dell’università per combatterequello che studenti e precari sostengono essere il risultato delprocesso di privatizzazione della UC (www.edu-factory.org). Insomma,l’autunno delle università americane è già più caldo dell’estate. Escequindi al momento giusto il numero 21 di “Polygraph”, rivista dicultura e politica gestita dagli studenti di Ph.D del dipartimento diletteratura della Duke University – altra istituzione in cui il ventodella crisi spira forte. Il volume, frutto di una discussionecollettiva avviata nel 2007 con un convegno sul “collasso del saperetradizionale”, è infatti dedicato a Study, Students, Universities.
Nell’introduzione Luka Arsenjuk e Michelle Koerner, curatori del numero, mettono a fuocol’obiettivo: dentro le trasformazioni dell’università, siti diffusi di produzione di conoscenza negli ingranaggi della valorizzazionecapitalistica, bisogna afferrare l’emergenza di una nuova figura dellostudente. Essendo ormai a tutti gli effetti un lavoratore, comeevidenzia Marc Bousquet, vanno comprese le sue forme di soggettivazionee agire politico.
Solo seguendo il filo rosso della pratica di autonomiadell’organizzazione, sostiene Renaud Bécot, è possibile sottrarre ilSessantotto dalla morsa in cui l’hanno stretto l’attacco reazionario ela vuota memorialistica. Come si può, allora, lottare dentro i processidi “finanziarizzazione della vita studentesca” di cui parla MorganAdamson descrivendo il sistema del debito? Per Christopher Newfield larisposta è la riaffermazione del pubblico. Già nel suo prezioso Unmaking the Public University: the 40 Year Assault on the Middle Class(Harvard University Press, 2008), Newfield mostrava come la retorica dell’eccellenza privata si sia alimentata con i soldi e le risorse pubbliche. D’altro canto, proprio i processi di finanziarizzazionesembrano alludere a una progressiva indistinzione dei due termini: lacomune situazione e le politiche delle università travolte dalla crisilo evidenziano efficacemente.
Dunque, se l’appello al pubblicosi risolve spesso nel richiamo all’interesse generale della societàcivile, è opportuno mettere tale categoria in tensione con quella dicomune, su cui si soffermano Isaac Kamola ed Eli Meyerhoff a partire dalle esperienze di resistenza e di autoformazione nella University of Minnesota. Non è questione nominalistica o di suggestione concettuale,ma squisitamente politica: se da un lato si corre il rischio disciogliere le differenze – innanzitutto quella di classe –nell’immagine dell’universale, ovvero dello Stato, dall’altro il temastrategico posto dai movimenti di studenti e precari è l’organizzazione della propria potenza cooperativa autonoma.
Non per trovarepratiche al riparo dalla governance descritta da Stefano Harney e FredMoten, perché – si afferma nell’introduzione – qui davvero “non c’è piùun fuori”; piuttosto, per rompere la cattura agita dalla corporateuniversity e produrre nuove forme istituzionali. Per dirla piùchiaramente, per riappropriarsi e decidere in comune della ricchezzacollettivamente prodotta. L’occupazione della UC dimostra come questitemi siano ormai incarnati nei conflitti. E attorno al nodo di chi pagala crisi si sta già producendo una grande esplosione nelle università americane.
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