domenica 27 dicembre 2009

La fine dell'università?!


[articoli da ww.ilmanifesto.it]

Atenei al lumicino

Molte università non hanno ancora utilizzato i fondi del governo Prodi per indire nuovi concorsi. Su 1050 posti, banditi solo 424. E se l'attuale maggioranza continua la politica dei tagli nascondendosi dietro lo scudo fiscale, l'opposizione del Pd rimane in mezzo al guado

di Roberto Ciccarelli

Sui 1050 posti finanziati nel 2008 dalla seconda tranche dei fondi Mussi per il reclutamento straordinario dei ricercatori, le università ne hanno banditi solo 424. Nessuno però ha ancora celebrato i relativi concorsi, né si hanno notizie certe sulla composizione delle commissioni esaminatrici.

La tabella curata dall'associazione «20 maggio», del «Forum lavoro» del Pd e pubblicata in questa pagina fotografa la situazione al 14 dicembre scorso. Si scopre così che alcuni tra i principali atenei italiani ricevono i finanziamenti, ma rinviano i concorsi. Bologna (0 su 55 previsti), Federico II di Napoli (0 su 50), Palermo (0 su 38), Tor Vergata di Roma (0 su 32), Torino (l'università 0 su 44 e il Politecnico 0 su 27). Alcuni lo hanno fatto, ma in parte, come il Politecnico di Milano (10 su 32). La Sapienza ha invece realizzato l'en plein (72 su 72).

Uno stillicidio dovuto, in primo luogo, alla confusione sulle regole della composizione delle commissioni giudicatrici. Tutti i bandi che partiranno dopo il 31 dicembre, oltre a quelli già operativi, rischiano di essere bloccati a causa dell'assenza di una normativa sulle procedure di reclutamento.

In realtà, le regole ci sarebbero. Sono quelle stabilite dalla legge 1/09: un professore ordinario o associato nominato dalla facoltà che ha richiesto il bando, due ordinari sorteggiati in una lista di afferenti al settore disciplinare di riferimento. Niente prove scritte, né colloquio orale, solo valutazione dei titoli o seminario del candidato per esporre il progetto di ricerca. Insomma, quello che dovrebbe essere il pane quotidiano per i ricercatori una volta approvata la riforma Gelmini.

Gli atenei non sembrano però avere molta intenzione di anticipare una riforma che deve essere ancora discussa in parlamento. Bergamo e Parma, ad esempio, il bando con le nuove norme l'hanno fatto, ma hanno evitato di citare il limite massimo delle pubblicazioni da presentare alla commissione. Invece a Roma il rettore della Sapienza Frati assicura che il limite è stato fissato a 12.

A chi ha fatto confusione, il ministro Mariastella Gelmini ha intimato di modificare i bandi. Al momento solo 8 atenei hanno risposto, mentre emergono altre anomalie. C'è chi infatti fa la prova scritta e non quella orale. E chi, invece, intende valutare il candidato in base alla discussione del suo seminario.

Anche i 696 posti (sui 2100 previsti dalla terza tranche dei fondi Mussi) finanziati martedì 22 dicembre dal Miur soffriranno degli stessi problemi. Il taglio, peraltro già annunciato il 13 novembre scorso, si spiega con il fatto che, rispetto alle due precedenti tranche, è saltato il cofinanziamento obbligatorio degli atenei previsto dalla finanziaria del 2007.

L'assegno statale erogato per la terza tranche verrà misurato sul costo medio del ricercatore (57.446 euro, pari a 0,5 punti organico) e non sul suo costo iniziale che è molto più basso, come è stato fatto per i concorsi precedenti. Questa misura si è resa necessaria per evitare che le università gestiscano un aiuto ministeriale decrescente nel tempo, obbligandole ad impegnare risorse che aumentano le spese complessive.

Sembra essere questa la motivazione del blocco attuale, ma non bisogna dimenticare un'altra condizione: le tranche successive alla prima del 2007 dovrebbero essere utilizzate anche per il pagamento degli stipendi dei ricercatori assunti.

Stando alla tabella pubblicata sul sito www.miur.it alla Sapienza di Roma andranno 41 posti, a Bologna 39, al Politecnico di Milano 36. Questa ripartizione dei fondi ha premiato le università «virtuose» concentrate nelle grandi città e nel nord del paese. La classifica stilata lo scorso novembre dal ministero ha attribuito 523,4 milioni di euro di incentivi al merito previsti sul fondo di finanziamento ordinario (Ffo) di 7,2 miliardi nel 2009. Bologna, Napoli e Torino (oltre che la Sapienza) sono ai primissimi posti per la didattica e per la ricerca.

Anche a condizioni favorevoli, non sarà facile convincere questi atenei virtuosi ad assumere. Ogni nuova assunzione continuerà ad essere valutata alla luce delle spese generali. Se queste ultime supereranno il rapporto tra le spese del personale e il finanziamento annuale l'ateneo rischia il blocco del reclutamento.

Uno degli orientamenti che la conferenza dei rettori (Crui) potrebbe decidere di adottare è di usare i fondi Mussi per fini diversi dall'assunzione dei ricercatori. È questo l'avviso del rettore di Trento (0 posti su 16 banditi) che però andrebbe verificato, dato che i fondi Mussi possono essere impiegati solo per i concorsi dei ricercatori. Il rischio, invece, si chiama «perenzione», una norma che impone la spesa dei fondi entro 3 anni dall'erogazione. Pena il loro ritorno nelle casse del ministero dell'Economia. Se non si fa in fretta, presto o tardi i concorsi previsti non potranno essere celebrati.

Il rigore di bilancio imposto dal ministro delle finanze Giulio Tremonti con le leggi 126 e 133 inizia a mostrare i primi effetti. Anche in presenza di fondi sicuri, gli atenei stanno a guardare. Sono troppe le incertezze legate al finanziamento pubblico, al punto che preferiscono bloccare le attività per non essere penalizzati in futuro.

Nel 2010 gli atenei, virtuosi e non virtuosi, faranno a meno di 278 milioni di euro. È ciò che rimane del taglio all'Ffo di 678 milioni, compensato dai 400 milioni provenienti dallo scudo fiscale. Un caos destinato ad aumentare nel 2013, quando il taglio dell'Ffo raggiungerà 1,5 miliardi di euro e nessuno sa ancora con quali risorse pareggiarlo.
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La logica suicida e bipartisan del centrosinistra

di Marco Bascetta

«Credo che la riforma dell'università possa diventare il primo esempio di riforma condivisa con l'opposizione», dichiarava al Corriere della sera qualche giorno fa il ministro dell'istruzione Mariastella Gelmini. Malauguratamente è proprio così e non c'è da stupirsene. Infatti, aggiungendovi un po' di retorica bacchettona e una buona dose di arroganza, il ministro altro non ha fatto che muoversi lungo la rotta tracciata, ormai molti anni orsono, dal centrosinistra, da Zecchino e da quel Luigi Berlinguer del quale oggi riscuote il plauso. Una rotta che, di riforma in riforma, ha condotto l'università italiana all'attuale naufragio. Ma le menti fini del centrosinistra ragionano come quei liberisti argentini che di fronte alla bancarotta del paese ne attribuivano la causa all' insufficiente applicazione di quelle ricette, a loro care, che avevano appunto condotto l'Argentina alla catastrofe.

Dopo decenni di chiacchere sul riavvicinamento tra il sistema della formazione e il mercato del lavoro la disoccupazione intellettuale prospera, per giunta in un clima di drammatico impoverimento culturale; dopo la frenetica moltiplicazione di assurdi insegnamenti e master psichedelici che avrebbero dovuto soddisfare la domanda di «professionalità» della società postmoderna, gli sprechi e la cialtroneria accademica si sono moltiplicati senza freni; dopo ripetuti appelli alle virtù salvifiche del privato non si è vista una lira, né uno stimolo degno di nota, semmai il proliferare di appetiti parassitari e messe in scena pubblicitarie; infine il sistema delle laure brevi, con il suo lessico bancario di debiti e di crediti, si è rivelato, ormai per ammissione di tutti, un fallimento devastante tanto sul piano dell'occupazione quanto su quello della formazione culturale. E, di fronte a tutto questo, l'onorevole Luigi Berlinguer esclama: brava Gelmini, continua su questo sentiero luminoso che con tanta lungimiranza abbiamo tracciato!

Certo ci sono i tagli e il populismo utilitarista del ministro Tremonti che andrebbero arginati. Ma è mai possibile che i tecnocrati e i sopraffini negoziatori del Pd alla Enrico Letta non riescano a capire ciò che è chiaro anche all'ultima matricola e cioè che i «tagli» sono la riforma? Sono cioè un principio di redistribuzione e accentramento del potere destinato a rafforzare il baronato accademico e l'esecutivo ministeriale, nonché un'imprenditoria privata pigra, ignorante e avida di sovvenzioni. Per sottolineare quanto il governo tenga alla ricerca (quella di qualità sia chiaro, non quella che non si capisce dove vada a parare), la Gelmini ricorda le agevolazioni fiscali per 850 milioni previste a favore delle imprese che «studiano novità», meglio se coinvolgendo una università. Non ci vuole troppa fantasia per vedere frotte di conigli saltare dal cappello e legioni di inventori dell'acqua calda con astuto partner accademico raccomandarsi ai custodi ministeriali del merito e batter cassa. Mentre le risorse degli atenei si estinguono e il blocco del turn over e dei contratti di ricerca consolida i privilegi della gerontocrazia universitaria.

Negli ultimi vent'anni, a partire dal movimento della Pantera e fino all'alta marea dell'Onda, solo dalla protesta degli studenti e dei ricercatori precari è venuta una parola di saggezza, un principio di razionalità, un'analisi lucida e precisa dei processi in corso. E solo da lì (e da forze intellettuali autonome dagli schieramenti politici) ci si può attendere un contrasto efficace alla miseria bipartisan che si sta preparando per l'università italiana.

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