[www.lastampa.it/torino] “Precari e sottopagati”, pronti i ricorsi. Rischio di risarcimento per 100 milioni
di Andrea Rossi
Nelle università tengono i corsi di lingua straniera, ricevono gli studenti, fanno gli esami. Ma non sono docenti. Sono tecnici da 900 euro al mese, come i bidelli. «Non fanno ricerca», si difendono i rettori. «Ma insegniamo», attaccano loro, i lettori. La battaglia va avanti da vent’anni, e da un po’ si combatte nelle aule di tribunale. Ora rischia di sommergere gli atenei sotto una valanga di ricorsi e risarcimenti per almeno cento milioni di euro. Pochi giorni fa l’università di Padova è stata condannata a pagare oltre cinque milioni di stipendi arretrati a 14 ex lettori che il tribunale ha equiparato a ricercatori a tempo indeterminato.
Vent’anni fa, era il 1989, la Corte di Giustizia europea stabilì che il trattamento riservato dall’Italia ai lettori era discriminatorio: avrebbero dovuto essere equiparati ai ricercatori. Ma l’Italia tirò avanti, il governo approvò un decreto con cui dal rango di assistenti li degradava a tecnici amministrativi. L’Europa alzò di nuovo la voce. E l’Italia, per tutta risposta, regolarizzò i lettori di sei università e cambiò nome a tutti gli altri: da lettori a collaboratori esperti linguistici. «Li sistemeremo poco alla volta», dissero nel 1994. Non l’hanno mai fatto. E la Corte è intervenuta altre cinque volte. «In origine era una questione interpretativa. Negli anni è diventata violazione del diritto comunitario», spiega il professor Lorenzo Picotti, avvocato e docente di Diritto penale a Verona. La prima causa l’ha vinta lui - tra i lettori c’era anche lo scrittore inglese Tim Parks - ora è il legale di riferimento dei 1200 lettori in Italia.
Quando si sono stancati, e le cause sono partite, ai giudici non è rimasto che applicare le sentenze europee. «Se l’Italia avesse rispettato il primo pronunciamento la partita si sarebbe chiusa in pochi mesi», racconta Picotti. «Invece ha ingigantito il bubbone. E ora ne paga le conseguenze: si è creato un effetto valanga. Con gli atenei in bolletta le conseguenze saranno deflagranti». La contesa oltretutto rischia di sfociare in caso diplomatico: domani David Petrie, il presidente dell’Associazione dei lettori di lingua straniera in Italia, incontrerà a Londra il ministro britannico per l’Europa Chris Bryant. «I rettori italiani continuano a non riconoscere gli scatti d’anzianità e i diritti fondamentali».
Finché l’Europa ha sbraitato l’università ha fatto finta di non sentire. «Siamo stati costretti a fare causa», racconta Petrie. Ed è stato come rimuovere il coperchio di una pentola a pressione. Ricorsi su ricorsi, tutti vinti. A oggi ci sono una quindicina di cause aperte. Forse è giusto così. Il preside della facoltà di Lingue di Torino Paolo Bertinetti lo ammette con amarezza: «C’è una totale indifferenza. Vanno in pensione e non li sostituiscono. Li pagano una miseria. È vero, sono equiparati ai tecnici; ma vogliamo confrontare il mediocre trattamento che ricevono con quello dei tecnici di laboratorio nelle facoltà scientifiche?».
A Padova, dopo la sentenza, si sono rivolti al ministero dell’Università. Del resto gli atenei applicano una legge dello Stato, perché devono pagare di tasca loro? Il rettore Giuseppe Zaccaria ha chiesto uno stanziamento ad hoc per evitare il rischio di un deficit di bilancio. «Finora, con un grande rigore, siamo riusciti a mantenere sane le finanze. Ma questa sentenza rischia di metterci in crisi». Petrie e gli altri 1200 lettori non sembrano per niente pentiti: «Per vent’anni si sono rifiutati persino di riceverci. Non è rimasto che rivolgerci ai giudici».
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