domenica 20 settembre 2009

Precari e università... stessi tagli, stessa precarietà!


Ci troviamo di fronte ad una vera e propria campagna di rottamazione della scuola pubblica. Se già nelle finanziarie 2007 e 2008 (eseguite dal ministro Padoa Schioppa del governo Prodi) erano stati previsti tagli complessivi per 47mila posti, di cui 42mila docenti e 5mila personale ATA, a fine di quest’anno la ministra Gelmini si propone di portare a conclusione la seconda parte della sua contestatissima riforma, per un totale di 42mila posti in meno per i docenti e 15mila per il personale ATA. Queste cifre fanno ancora più rabbrividire se ci spingiamo oltre e calcoliamo il totale dei licenziamenti entro il 2012: 109.341 insegnanti in meno e 47.500 personale ATA senza lavoro. Numeri questi che sembrano un bollettino di guerra e consegnano alla disoccupazione centinaia di migliaia di persone, per non contare le pesanti ripercussioni che tutto ciò avrà sul mondo della scuola, logisticamente e didatticamente.

Anche Torino subirà pesanti conseguenze e pare si parli di circa 3mila insegnati che già da quest’anno rimarranno senza lavoro. La mobilitazione contro i tagli cresce in tutta Italia, soprattutto al Sud dove le condizioni di vita sono già estremamente precarie a causa della crisi e di una situazione più complessiva penalizzata da decenni di malgoverno. A Nord la mobilitazione non è però assente e diverse sono le città che, fin prima dell’inizio delle scuole, hanno organizzato iniziative di protesta e presidi.

Oggi le scuole primarie sembrano esser state riportate al triste modello del ventennio fascista: maestro unico, ora di religione obbligatoria e al pari delle altre materie, tetto massimo del 30% di immigrati nelle classi e ciliegina su questa torta avvelenata, divieto annunciato di “fare politica” all’interno delle scuole, quando per fare politica la ministra intende la voglia degli insegnanti e del personale scolastico di offrire la migliore formazione possibile, a garanzia dei bisogni degli studenti e delle loro famiglie.

È evidente come il governo stia ripensando a tutto il funzionamento del mondo della formazione avendo come unico criterio pratico-progettuale quello contabile e amministrativo. Tagli ai finanziamenti, riduzione dell’offerta didattica, rifiuto di soddisfare i reali bisogni di chi la scuola la frequenta (abolizione di corsi d’italiano per immigrati, accompagnamento a studenti con disabilità e/o difficoltà nell’apprendimento ecc…), blocco delle assunzioni per i precari e classi sovraffollate, sono solo una parte di quello che ci aspetta. Non servono a molto le varie dichiarazioni fatte dai vari ministri, per giustificare questi disastri, nelle quali si vanta l’utilizzo di criteri finalizzati alla qualità e alla sostenibilità della scuola. Gli obiettivi e le conseguenze di questa manovra economica (e delle precedenti) sono oramai palesemente chiare e disastrose.

Questo attacco ai precari e alla scuola è, in realtà, solo una parte di quello che è un affronto generalizzato contro il sistema della formazione. Dimostrazione di ciò è tutto quel che le università in lotta hanno combattuto lo scorso anno: tentativo di smantellamento dell’università pubblica attraverso tagli indiscriminati, riduzione del turnover dei docenti, riduzione del personale di servizio e la possibilità data ai privati e alle imprese di entrare ancora maggiormente nel cuore della vita e della gestione universitaria. La rottamazione della scuola e l’aziendalizzazione dell’università si inseriscono in un contesto generale di crisi economico-finanziaria che ha prodotto un’insicurezza generale, ha incrementato il tasso di disoccupazione ed ha acuito la fatica di molte famiglie ad arrivare a fine mese. Questo quadro ci obbliga, come detto in apertura, a rimboccarci le maniche anche all'università, insieme alle scuole, insieme ai soggetti sociali che questa crisi non la voglion proprio pagare!

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